E’ tornata, come le rondini a primavera, la bufala dell’inizio di Whatsapp a pagamento. La celebre applicazione che consente di comunicare, via orale o testuale, a costo zero è soggetta ciclicamente a bufale e fake news su un possibile esborso economico per usufruire del servizio. Ecco l’ultima, con il 13 gennaio 2018 come data fatidica. Smontata la bufala, è scoppiata l’ironia sui social network sui creduloni: “Oggi un mio collega, 35 anni ed una laurea magistrale in ingegneria, mi ha chiesto se è vero che whatsapp sarebbe diventato a pagamento. Le tasse universitarie le dovete aumentare”, “È nato prima @WhatsApp o la catena su #WhatsApp che sta per diventare a pagamento?”, “Oggi mi hanno chiesto conferma se fosse vera la bufala di whatsapp che diventa a pagamento fra pochi giorni. C’é veramente tanta strada da fare”, “La mamma dei “Avviso importante: #Whatsapp diventerà a pagamento” è sempre incinta”. (Agg. Massimo Balsamo)



WHATSAPP A PAGAMENTO: L’ENNESIMA BUFALA

E’ una “bufala” che ogni tanto si ripresenta ciclica, ma continua a spaventare gli utilizzatori del sistema di messaggistica istantanea più diffuso negli smartphone di tutto il mondo. Stiamo parlando di Whatsapp, che secondo un messaggio diventato virale nell’ultimo periodo, e che molti utenti si stanno scambiando freneticamente nelle ultime ore, sarebbe in procinto di diventare a pagamento a partire da sabato 13 gennaio 2018. Il meccanismo però, lo si capisce a prima vista, è quello della tipica catena di Sant’Antonio, visto che oltre all’avviso del passaggio a pagamento dell’applicazione, si chiede agli utenti di girare lo stesso messaggio a tutti i contatti della propria rubrica e in generale al maggior numero di utenti possibile. Infatti, dimostrando di poter essere utilizzatori assidui di Whatsapp, si potrebbe bypassare il pagamento e dunque continuare ad utilizzare gratuitamente la app.



IL MISTERIOSO DIRETTORE “YONG LI”

Ovviamente, agli utenti più esperti è subito chiaro che nessuna azienda, ammesso di decidere di far pagare di punto in bianco un servizio gratuito, deciderebbe genericamente di dispensare dai costi gli utenti più fedeli a fronte di una non meglio specificata “assiduità” nell’utilizzo del servizio. I più distratti però continuano a cascarci, facendo riferimento ai dettagli riportati nel messaggio. Si parla infatti di un direttore dell’azienda che gestisce Whatsapp (che in realtà viene gestita da Facebook) chiamato “Yong Li”, che avrebbe deciso di imporre il costo di un centesimo per ogni messaggio postato in chat. Sempre nel messaggio viene poi sottolineato come la notizia sia già stata annunciata al “telegiornale”, ovviamente senza dare riferimenti certi, ma dando per scontato come la cosa sia ormai di pubblico dominio. La scadenza del 13 gennaio, ormai prossima, renderebbe ancora più allarmante la comunicazione. Insomma, gli ingredienti per una “bufala” bella e buona ci sono davvero tutti, e così è stata rivelata di fronte a tutti gli utenti.



CONTROLLARE LE FONTI E NON APRIRE LINK

Non è la prima volta infatti, come detto all’inizio, che viene annunciato il passaggio a pagamento di Whatsapp. Questo viene utilizzato come scherzo virale considerando la grandissima popolarità dell’applicazione, e la possibile preoccupazione per i costi mensili di chi è abituato, tra gruppi, conversazioni private e di lavoro, a inviare centinaia di messaggi al giorno, se non migliaia nei casi di utilizzo più assiduo. In questi casi, per disinnescare la “bufala”, basta sempre fare un utilizzo attento proprio del mezzo attraverso la quale essa si diffonde, ovvero internet. La bufala infatti non viene mai riportata da fonti autorevole e conosciute di informazioni, ma solo da siti equivoci e sconosciuti, se non addirittura da nessuna fonte giornalistica, ma solo attraverso il messaggio che fa capolino sullo smartphone. In questi casi è molto importante non aprire link e ignorare il messaggio, perché spesso si può mettere a repentaglio la sicurezza dei propri dispositivi, ricevendo virus e malware in grado anche di rubare informazioni sensibili importanti.