Una storia doppiamente significativa. Non solo perché la madre ha solo 17 anni e ha deciso di mettere al mondo la figlia anziché abortirla come fanno tante sue coetanee, ma perché, invece di preoccuparsi del suo futuro di mamma, pensare ai vestitini, ad arredare la cameretta come fanno tutte le altre mamme, questa ragazzina ha da pensare ai pochi mesi che le restano da vivere, colpita mentre era in stato di gravidanza dalla più grave forma di tumore al cervello. Dana Scattan, 17 anni, era al settimo mese e mezzo di gravidanza quando il suo intero mondo si è capovolto. Il 10 dicembre scorso le è stato infatti diagnosticata la forma maggiormente mortale di tumore al cervello. Il 4 gennaio ha dato alla luce Aries Marie, dopo che la chemioterapia non aveva fermato il cancro. La bambina è nata con un mese di anticipo perché Dana ha voluto cominciare il trattamento chemioterapico, e così non ha voluto danneggiare la salute della piccola. In questo modo avrà circa nove mesi di vita, invece dei tre che le erano stati inizialmente diagnosticati.
La sua salute sta però già deteriorandosi rapidamente e il giorno di Natale è dovuta entrare in ospedale perché non più in grado di camminare su e giù per le scale di casa e con problemi respiratori. Nonostante la bambina in grembo, i medici le hanno assicurato che non avrebbe subito danni: “Ho sentito dentro di me che Dio stava indicando ai dottori il modo migliore per me e per mia figlia di agire” ha commentato. Il 3 gennaio le sue condizioni continuavano a peggiorare e così si è deciso per il parto cesareo. La bambina sta bene e il medico capo del reparto ha commentato: “Un miracolo è andato, adesso aspettiamo il secondo”. Lei stessa, benché continui a lottare per la sua vita, ha detto: “Non mi importa quello che dicono i medici, mi aspetto un miracolo”. Il tumore che l’ha colpita è maggiormente diffuso nei bambini fino ai 10 anni di età, ogni anno ne sono colpiti nel Regno Unito circa 300, di cui solo il 10% sopravvive per due anni dopo la diagnosi, meno dell’1% per 5 anni. La media di sopravvivenza è nove mesi, perché non esiste ancora una cura adeguata.