E pensare che lo avevano capito. Ahamed Fdil, il marocchino di 64 anni che viveva a Santa Maria di Zevio come clochard, era lì per loro, per la loro noia. Stiamo parlando di due minori di tredici e diciassette anni che lo scorso 13 dicembre avrebbero incendiato l’auto dove Ahamed stava riposando. Lo avevano preso di mira da diverso tempo: scherzi, goliardate, quasi marachelle. Ormai ci erano abituati e anche quel giorno, per vincere la noia, avrebbero deciso di farlo di nuovo, di spingersi oltre, lanciando tizzoni di carta infiammati nella macchina dove “il Baffo” — così lo chiamavano in paese — viveva e dormiva.
L’aspetto tragico di questa vicenda è che avevano visto giusto: quel barbone era lì per loro, per la loro noia. Egli non era altro che un dono che il Cielo aveva voluto consegnare per uscire da una vita anestetizzata e piena di aridità. Avevano quindi avuto un’intuizione saggia e autentica. Ma si erano fermati lì. Un po’ come succede quando si realizza che quella è la compagnia giusta, che quello è l’amore corretto, che quella è la strada adeguata: si capisce, ma si rimane lì, fermi in quella intuizione, senza fare un passo oltre. Per che cosa quel volto mi è stato dato? Perché quella storia è entrata nella mia storia? Per quale motivo, per quale scopo, sto provando quest’amore, quest’attrazione, questa sofferenza?
Una delle cose più amare del nostro tempo è quella di pensare che tutto ci sia stato dato per intrattenerci, per il nostro divertimento. Non osiamo neanche pensare che il Mistero della vita risponda alla nostra noia, al nostro tormento o al nostro dolore con una proposta, offrendoci un lavoro. Come nella parabola dei vignaioli che stanno tutto il giorno in attesa di qualcosa e poi vengono chiamati, magari all’undicesima ora, per un lavoro, per una fatica, per una strada. Non è che al nostro mondo manchino le intuizioni, non è che alla nostra umanità fragile manchi la memoria del fatto che a ciò che c’è dentro di noi la vita offre qualcosa fuori di noi da seguire. Quello che manca è l’esigenza di uno scopo, è la chiarezza di un motivo, di una prospettiva.
Ci manca il legittimo sospetto che all’aridità della vita il Cielo non voglia venirci in aiuto facendoci pensare ad altro, ubriacandoci di trasgressione, bensì proponendoci qualcosa che la vita la faccia fiorire. Ahamed era stato consegnato loro perché loro ne avessero cura. Ma loro lo hanno vessato, denigrato, ucciso.
Successe anche a Gerusalemme duemila anni fa. Sembra passato molto tempo, ma di fronte a quel corpo esanime e senza vita pare che non sia passato neppure un giorno. Si respira la stessa solitudine, la stessa violenza, lo stesso mistero di iniquità. Lo stesso appuntamento mancato con un Destino che, attraverso un volto umano, aveva deciso di consegnarsi agli uomini perché gli uomini avessero la vita. E l’avessero in abbondanza.