L’interrogatorio di Stefano Binda è il primo pubblico dopo l’arresto dell’incaricato e ancora sotto mistero caso Macchi. E l’imputato nega tutto: «non ho scritto io quella lettera, non è mia quella poesia». All’accusa che lo mette alle strette dicendo che quel biglietto è stato ritrovato all’interno della sua abitazione e che potrebbe avere la grafia da lui stesso usata, Binda si difende ulteriormente: «Non sapevo di avere quel biglietto, lo dissi subito alla Squadra mobile, negai che fosse mio, ora lo confermo, non l’ho scritto io, non dico che qualcuno si sia introdotto nella mia camera e l’abbia inserito, però si trovava in un’agenda che poteva essere anche stata portata fuori casa. Il biglietto ritrae una versione di greco che credo sia databile agli anni scolastici. Le glosse ad esempio non sono mie». In un biglietto scritto da Stefano – e non quello inviato alla famiglia di Lidia il giorno del funerale – si legge «Stefano sei fregato, potrebbero strapparti gli occhi ma quello che hai visto hai visto»; ecco, Binda si difende e dice che quello scritto non aveva nulla a che vedere con l’omicidio ma riguardava una sua sofferenza personale perché si trovava di fronte al bivio se continuare a essere tossicodipendente oppure iscriversi all’Università e aderire a Comunione e Liberazione. In aula l’unico indagato per l’omicidio di Lidia Macchi spiega di non essere un assassino e di essere ad una vacanziera di Comunione e Liberazione quando la povera ragazza venne violentata e uccisa: «Ricordo distinntamente delle scene, e diverse delle persone nominate oggi in aula, ma non riesco a riferirle se fossero in quella vacanza a Pragelato a quella dell’anno prima». Venne a sapere della morte di Lidia in un momento particolare della vacanza con il gruppo religioso: «Ricordo che una volta arrivati in piazza Monte Grappa, a Varese, vidi un insegnante, Bruschi, che disse ad alcuni di noi che non si trovava più la Lidia». (agg. di Niccolò Magnani)



PM, “CHIEDO UN NUOVO ESAME DEL DNA”

Due sorprese questa mattina nella nuova udienza del caso Lidia Macchi: in primis l’interrogatorio, prima di Stefano Binda, del “famoso” Lelio – un ragazzo con problemi psichici al tempo della morte di Lidia che era stato udito da alcune universitarie “vantarsi per aver accoltellato la ragazza di Varese”. L’uomo, interrogato dal sostituto pg Gemma Gualdi, ha negato di avere mai confessato l’omicidio: il suo nome era stato fatto nella penultima udienza di dicembre scorso da due testimoni che conoscevano Lidia ma che avevano derubricato la “sparata” dI Lelio come una farneticazione e non come un reale indizio probante. La seconda sorpresa è rappresentata ancora dalla pm che rappresenta l’accusa contro Stefano Binda, ancora unico indagato: «In una situazione particolarissima, in cui a ridosso dell’inizio della discussione finale giungono i dati dell’incidente probatorio, dopo 20 mesi di analisi, chiedo che mi sia dato il tempo di effettuare ulteriori perizie», spiega dall’aula di Varese aprendo l’udienza la pm Gemma Gualdi. Intanto però il procuratore generale di Milano, riporta Varese News, ha richiesto una perizia psichiatrica su Stefano Binda per accertarne la pericolosità sociale, «una nuova perizia chimico scientifica sull’imputato per chiarire un’eventuale sua presenza sulla scena del delitto». Ovviamente l’accusa non crede che i capelli ritrovati non di Binda sul corpo di Lidia Macchi possano essere una prova “decisiva” per scagionarlo: il processo intanto continua, come il mistero, da oltre trent’anni. (agg. di Niccolò Magnani)

NUOVA UDIENZA PER IL CASO MACCHI

È fissata ad oggi, martedì 16 gennaio, la nuova udienza sull’omicidio di Lidia Macchi, la studentessa di Varese massacrata con 29 coltellate nel 1987. Stefano Binda è l’unico imputato: è accusato di aver ucciso la ragazza, quindi è sotto processo davanti alla Corte d’assise di Varese. Il giallo della sua morte ha fatto registrare un nuovo colpo di scena: una super perizia ha individuato infatti sul corpo della vittima quattro capelli che non appartengono né alla giovane né a Stefano Binda, al momento unico indagato. A esporre i risultati delle analisi sono stati i periti nominati dal giudice per gli accertamenti sul cadavere riesumato nel marzo 2016, ma sono intervenuti anche i consulenti dei difensori di Binda e della Procura generale di Milano. I reperti estrapolati sono circa seimila tra peli e capelli. Tra questi i quattro che non appartengono a Lidia né a persone del suo gruppo familiare. Attraverso la comparazione con il Dna è stato anche possibile «escludere con certezza» anche che quei capelli siano riconducibili a Binda, che si è sempre proclamato innocente.

LIDIA MACCHI, I RISULTATI DELLA SUPER PERIZIA

Le spoglie di Lidia Macchi sono state riesumate per capire se vi fossero o meno elementi del Dna riconducibili a Stefano Binda, ma sono spuntati quattro capelli, senza bulbo, trovati dai periti nella zona pubica. Appartengono tutti alla stessa persona, che però non corrisponde all’imputato o a un familiare della ragazza scelta. Sarebbero dunque di un altro uomo. «Periti e consulenti sono giunti alla stessa conclusione: i capelli non appartengono a Binda e non si sa di chi siano», ha dichiarato uno dei difensori di Binda, l’avvocato Patrizia Esposito. A questo punto comunque la salma sarà restituita ai familiari. Stando a quanto riportato dal Corriere della Sera, è molto probabile che le formazioni pilifere siano rimaste sul corpo in seguito a un rapporto sessuale, il primo della sua vita e consenziente, che Lidia Macchi avrebbe avuto dopo essere uscita dall’ospedale di Cittiglio dove si era recata per visitare un’amica. Poche ore dopo fu uccisa a coltellate.

LA REAZIONE DI STEFANO BINDA

«Sono contento, questi risultati dimostrano la mia innocenza», questa la prima reazione di Stefano Binda dopo il colpo di scena di martedì scorso nell’aula gip del tribunale di Varese. Lo hanno rivelato i difensori dell’unico imputato, gli avvocati Sergio Martelli e Patrizia Esposito. I periti hanno spiegato che una volta trasportata la salma in laboratorio hanno dovuto attendere che i resti si asciugassero, perché erano impregnati di acqua. Come riportato dal Corriere della Sera, il vestito con cui era stato avvolto il cadavere, un abito da sposa, ha protetto i reperti dal tempo. La perizia comunque rappresenta un unicum nel panorama forense, perché è stata analizzata una mole di materiale su un cadavere riesumato dopo trent’anni. La buona notizia per la difesa è che i capelli, probabilmente dell’assassino, non appartengono sicuramente a Stefano Binda. Per i periti della vittima la ragazza sarebbe stata uccisa in un lasso di tempo tra 30 minuti e 3 ore dalla fine del rapporto sessuale. Nell’udienza di oggi i periti potrebbero replicare le loro conclusioni, esposte davanti al Gip nell’incidente probatorio.