Sarah Scazzi oggi sarebbe stata una ragazzina poco più che ventenne e nel fiore della sua giovinezza. La sua vita però, fu brutalmente interrotta il 26 agosto 2010, quell’ultimo giorno della sua estate da 15enne, quando uscì di casa per andare dagli zii materni dai quali però non fece più ritorno. L’omicidio di Sarah Scazzi è uno dei casi di cronaca che più hanno sconvolto l’opinione pubblica italiana, per via della giovane età della vittima ma anche del contesto nel quale quel delitto si collocò. Siamo nel Sud Italia, in particolare ad Avetrana, centro in provincia di Taranto. E’ qui che Sarah vive e trascorre le sue giornate da adolescente, in compagnia della cugina Sabrina Misseri, all’epoca dei fatti 22enne. Anche quel pomeriggio del 26 agosto di otto anni fa, la ragazzina si recò in casa degli zii, Cosima e Michele e della cugina. Percorse a piedi poche centinaia di metri prima di far perdere per sempre le sue tracce. Poche ore dopo, in preda all’angoscia la madre Concetta, sorella di Cosima Serrano, ne denuncia la scomparsa e da allora prende il via il drammatico giallo di Avetrana oggi divenuto una docufiction (la prima mai realizzata sul caso) che sarà trasmessa questa sera nel corso della puntata de Il Terzo Indizio.



Per oltre un mese andarono avanti senza sosta le ricerche di Sarah, e la notizia della sua scomparsa ben presto uscì fuori dai confini locali ed iniziò ad essere seguita dalla stampa e dalle emittenti nazionali alle quali, proprio i parenti della ragazzina, intervennero in diretta mostrando la propria disperazione e sperando fino all’ultimo in un ritorno a casa della 15enne. Tra loro, anche Zio Michele, la moglie Concetta e la figlia Sabrina, spesso in lacrime in tv. Avetrana fu presto presa d’assalto da cronisti e telecamere che si andarono moltiplicando fino alla svolta drammatica, avvenuta il 6 ottobre dello stesso anno, ad un mese e mezzo dalla sparizione.



SARAH SCAZZI: LE TAPPE DEL GIALLO, GLI ARRESTI

Sin da subito l’attenzione degli inquirenti che indagavano sul giallo di Sarah Scazzi si era posata sul contesto familiare. I sospetti attorno a Michele Misseri divennero sempre più pesanti dopo il ritrovamento del cellulare della vittima, semibruciato ed abbandonato in un campo, in merito al quale, in lacrime, l’uomo asserì di essere in grado di trovare la nipote. Solo dopo un interrogatorio fiume a carico di zio Michele, il contadino di Avetrana vuotò il sacco confessando il delitto e indicando agli investigatori il luogo in cui era stato sepolto il corpicino della nipotina, in fondo ad un pozzo, in aperta campagna. Il racconto fu condito da altri particolari scabrosi che poi si rivelarono falsi. La notizia del ritrovamento del cadavere fu comunicata ai familiari di Sarah Scazzi in diretta tv durante una puntata di Chi l’ha visto. Per settimane la versione di Misseri fu ritrattata più volte, fino a quando non coinvolse nell’esecuzione del delitto la figlia Sabrina, arrestata nei giorni seguenti. Il movente intravisto dagli inquirenti fu inizialmente ricondotto alla gelosia che la ragazza nutriva nei confronti della cugina, per via di alcune attenzioni che Ivano Russo, giovane di cui la Misseri era innamorata, riservava alla 15enne. L’inchiesta diviene sempre più complessa e misteriosa e con il passare dei mesi fu coinvolta anche la madre di Sabrina, Cosima Serrano, arrestata nel maggio 2001.



I PROCESSI E LE CONDANNE

Il primo capitolo della lunga vicenda processuale si aprì davanti alla Corte d’Assise di Taranto il 10 gennaio 2012 e si concluse nell’aprile dell’anno seguente con la prima condanna all’ergastolo a carico di Sabrina Misseri e della madre Cosima Serrano per il delitto di Sarah Scazzi, mentre a carico di Michele Misseri arrivò la condanna a 8 anni di reclusione per la soppressione di cadavere. Nel corso del processo furono coinvolte anche altre persone accusate, a vario titolo di soppressione in concorso, favoreggiamento personale e calunnia. Ma per i tre personaggi principali dell’intricato caso, anche nei successivi gradi di giudizio le condanne furono sempre le medesime. Colpevoli per l’omicidio della 15enne di Avetrana, in Appello come anche in Cassazione sono risultate essere proprio madre e figlia. La sentenza di terzo grado è giunta il 21 febbraio dello scorso anno ed ha confermato l’ergastolo a carico delle due donne e 8 anni di reclusione a carico di zio Michele accusato anche di aver inquinato le prove.