Siamo campioni nei nastri sottili in acciaio e in titanio. Non so neanche cosa siano, a cosa servono, eppure c’è gente che dedica tutto il giorno del proprio lavoro, gli anni della sua vita, a fabbricare nastri inossidabili da esportare sul mercato europeo e mondiale, per fare opere dell’uomo, che usiamo, che ci sono necessarie, senza sapere nell’interminabile catena di lavorazione quali mani, quali volti e menti le abbiano apparecchiate. Sicuramente mani attrezzate con perizia, mani che sudano per una paga appena onesta, che mantiene la famiglia, il decoro, le speranze e il futuro. 



So però che né per i nastri d’acciaio, né per qualsivoglia lavoro si deve morire. Come sono morti ieri tre operai esperti, intossicati probabilmente dall’azoto durante le operazioni di pulizia di un forno. Vasche di due metri per quattro interrate in profondità, dove ci si cala, con tutte le protezioni prescritte, affidandosi a sensori infallibili. 



Oppure no, perché qualcosa nella ditta milanese di Greco, periferia della capitale del lavoro, non ha funzionato. O una sottovalutazione dei rischi — a volte l’esperienza rende così sicuri — o un’eccessiva fiducia in mezzi elettronici che possono guastarsi, o non essere attivati. La magistratura farà indagini e luce, mentre lotta con la morte un altro operaio, e tre ancora faticosamente si riprendono in ospedale. Pare che gli ultimi siano stati afferrati dal gas per scendere ad aiutare i primi, secondo i racconti terrorizzati di chi ha visto i compagni accasciati, testimone del dramma: una fratellanza che per esser tragica non è meno bella e toccante. Ogni qualvolta un uomo muore per guadagnarsi il pane giustamente deploriamo le scarse cautele, e i livelli record delle morti bianche nel nostro paese, considerato civile. Ci si infiamma, si pretendono risposte, si invocano processi e correttivi alle leggi. Eppure non parliamo delle cave che inghiottirono Rosso Malpelo o delle miniere dove perirono i nostri emigrati a Marcinelle. E sottile avanza il sospetto terribile che l’imprevisto abbia il volto della morte, a volte, senza che si individuino colpevoli reali. 



La verità si esige, e probabilmente si scoprirà il tarlo, l’anello che non tiene, perché l’uomo vuole risposte, al male e al dolore indicibili. Nessuna risposta sarà mai abbastanza, né della giustizia, né di chi porta consolazione. Nessuna polemica strumentale renderà onore a quel sacrificio. Questa domanda strozzata — perché — quando ci muore un amico, un fratello, un padre, questa domanda è l’unica che conti davvero far bruciare nel cuore, per tutti. Solo l’amore ricrea, e senza parole sa condurre alla strada della speranza.