Il caso dei bioshopper a pagamento, i sacchetti del supermercato biodegradabili e compostabili, continua a far discutere. Legambiente allora è scesa in campo per chiarire quella che è stata già bollata sui social come una “tassa sulla spesa”. Del resto, in questi giorni stanno circolando diverse fake news… Come riportato dall’Avvenire, questo provvedimento è stato adottato per contrastare efficacemente l’inquinamento da plastica non gestita correttamente e il problema del marine litter. Tassa occulta? Tutt’altro, perché il costo è visibile, anzi l’obiettivo della norma è aumentare la consapevolezza dei consumatori su un prodotto che ha un impatto ambientale notevole se non gestito correttamente. Questa legge, inoltre, non favorisce il monopolio di un’azienda: basta andare sul web per trovare colossi della chimica italiana, tedesca e americana, ad esempio, che producono bioplastiche. Al massimo andrebbe data la possibilità di usare sacchetti riutilizzabili, come le retine, una pratica diffusa nel nord Europa.
«Le polemiche di questi giorni sono davvero incomprensibili: non è corretto parlare di caro spesa né di tassa occulta o di qualche forma di monopolio aziendale. Sarebbe utile che ci si preoccupasse dei cambiamenti climatici e dell’inquinamento causato dalle plastiche non gestite correttamente, e che si accettassero soluzioni tecnologiche e produttive che contribuiscono a risolvere questi problemi, senza lasciarsi andare a polemiche da campagna elettorale di cui non se ne sente il bisogno», il commento di Stefano Ciafani, direttore generale di Legambiente. Questo è il momento di sostenere e promuovere l’innovazione che non danneggia l’ambiente, oltre che di contrastare la pratica dei sacchetti di plastica illegali. «Circa la metà di quelli in circolazione sono infatti fuorilegge, un volume pari a circa 40 mila tonnellate di plastica, e una perdita per la filiera legale dei veri shopper bio pari a 160 milioni di euro, 30 solo per evasione fiscale», ha aggiunto Ciafani. (agg. di Silvana Palazzo)
SACCHETTI DEL SUPERMERCATO A PAGAMENTO
Arriva una rivoluzione nei supermercati. Niente di trascendentale, ma chi si reca più di una volta a settimana a fare la spesa potrebbe iniziare a storcere il naso. Impossibile aspettarsi una reazione di diversa: perché l’introduzione dei sacchetti biodegradabili a pagamento, per quanto i costi dovrebbero essere contenuti, non può fare di certo piacere ai consumatori. Si aggiunga che questo adeguamento delle regole “ce lo chiede l’Europa”, uno degli slogan probabilmente più antipatici – e allo stesso tempo necessari – di questo periodo. Ma in cosa si traduce questa novità? Come spiega Il Tirreno, la minirivoluzione ambientale diventata obbligatoria ieri, 1 gennaio 2018, obbligherà i consumatori a pagare i sacchetti dei prodotti dei banchi ortofrutta, delle macellerie e delle pescherie. Quanto costerà? A stabilirlo saranno direttamente le aziende. Il costo minimo, per ora, è di un centesimo a sacchetto.
NO AI TRUCCHI
Nessuno pensi di riuscire a trovare un escamotage per evitare la tassa sui sacchetti biodegradibili. La legge in materia è chiara: la commercializzazione di borse ultraleggere (spessore inferiore a 15 micrometri) diverse da quelle biodegradabili e compostabili è vietata, così come non si potrà chiedere alla cassiera il favore di passare la busta e chiudere un occhio. Il rischi per gli esercenti, della grande e della piccola distribuzione, è quello di andare incontro a multe salatissime: dai 2.500 euro fino ad un massimo di 25mila euro. Negato anche il fai-da-te: il consumatore, insomma, non potrà arrivare al supermercato provvista di sacchetto bio personale. La polemica, è presto detto, finirà anche nell’agone politico: un po’ perché altri Paesi UE, alla faccia delle necessità di tutela ambientale, hanno deciso di non favorire l’usa e getta; un po’ perché la novità dei a novità dei sacchetti bio a pagamento è stata introdotta con un emendamento firmato dalla deputata Dem Stella Bianchi nell’ambito del cosiddetto “Decreto Mezzogiorno”. Dove sta il problema? Il Tirreno ricorda che fra i maggiori produttori di buste bio vi è la Novamont: amministratore delegato dell’azienda è la manager di Foligno Catia Bastioli, un passato recente da animatrice della seconda leopolda renziana Dire che i sacchetti bio si pagano per colpa di Renzi è un attimo.