Difficile mantenersi freddi. Ingiusto e forse comodo abbandonarsi ai sentimenti. I fatti. Una ragazzina di 14 anni a Cassino in un tema trova il coraggio di raccontare l’orrore delle violenze subite dal padre, agente della polizia penitenziaria. L’insegnante trasmette ai carabinieri le pagine sconvolgenti consegnatele dall’alunna. La madre, convocata dagli inquirenti, non sapeva nulla, ma ricorda un precedente con le infami avance fatte dal marito alla figlia maggiore più di dieci anni fa.



L’uomo è colpevole o innocente. La figlia non ha il dovere di fornire prove impossibili — ha detto proprio ieri il Papa — ma mancavano ancora “evidenze”, tanto che il gip ha deciso non per la custodia cautelare ma per l’allontanamento dalla famiglia e limitando il controllo al braccialetto elettronico.



Qui accade ciò che era prevedibile. La fuga di notizie ne fa un uomo morto socialmente, identificato facilmente dai compaesani. E per forza colpevole, senza redenzione, a prescindere.

L’uomo si è impiccato in chiesa.

Il suicidio non è una prova di colpevolezza, né di innocenza. Non ha lasciato biglietti. Non sappiamo niente. Solo Dio sa. Si è ucciso davanti al tabernacolo per esprimere pentimento, o come Giuda? Ma poi sappiamo se Giuda si è pentito o no? Altra ipotesi: innocente, ma consapevole di essere comunque diventato un mostro, ha protestato contro il cielo e contro tutti per la calunnia.



Dico tre piccolissime cose.

1. La più importante. Questa ragazzina non è colpevole della morte del padre. Bisogna mostrarglielo con l’amore. Già denunciare il proprio padre per un atto tanto ignobile è un dolore terribile e una vergogna. Ora per carità evitiamole un nuovo abuso: il caricarla di un peso in più rispetto a quelli che dovrà sopportare. 

2. Non si giudica un suicida. Però il suicidio è proprio una menzogna. Sia quell’uomo colpevole o no, impiccandosi ha straziato i suoi cari. Qualunque cosa un uomo abbia commesso, la vita non è inutile. Esiste una possibilità di redenzione per tutti.

3. Mi fanno francamente schifo i giornali e le tivù che non hanno saputo tacere. Era evidente che diffondere una notizia con i fatti ancora incerti e le accuse in bozzolo avrebbe portato a situazioni abnormi ed esposto a rischi enormi. Ora gli stessi giornali dicono — e hanno pure ragione! — che lo Stato di diritto vuole che si tuteli l’indagato da qualsiasi pericolo. Ma la colpa originaria sta nella fuga di notizie (dalla parte degli inquirenti; la scuola; i parenti?) e da chi l’ha provocata e amplificata. Esiste una responsabilità sociale di tutti noi, del nostro chiacchiericcio.

(Aggiungo: silenzio, accoglienza, preghiera. A che titolo dico e propongo questo, non so. Lo dico a me stesso)