La Commissione parlamentare d’inchiesta sul disastro della Moby Prince ha svelato novità importanti su quanto accadde la notte del 10 aprile 1991 nelle rade del porto di Livorno. Non solo l’assenza della nebbia, che per anni era stata considerata tra le cause dell’impatto tra il traghetto e la petroliera, ma anche una serie di errori che sono costati la vita a 140 persone. Come riporta Il Corriere della Sera, “il comando della petroliera non ha posto in essere condotte pienamente doverose”. Dalla ricostruzione dei fatti è emerso come il traghetto sia rimasto incagliato per diversi minuti all’interno della motocisterna. In quei frangenti, dunque, “c’era il tempo per valutare la situazione e dare le corrette comunicazioni ai soccorritori”. Inoltre, spiegano i relatori della commissione, “dalla Capitaneria di porto di Livorno non partirono ordini precisi per chiarire entità e dinamica dell’evento e per ricercare la seconda imbarcazione”. In definitiva, “ci fu impreparazione e inadeguatezza”. (agg. di Dario D’Angelo)
L’ACCORDO SEGRETO TRA LE COMPAGNIE
Al porto di Livorno, il 10 aprile del 1991, la nebbia non c’era. Semplicemente l’hanno creata – metaforicamente- le due compagnie coinvolte nel disastro più grave della marineria italiana, quello della Moby Prince, in cui persero la vita 140 persone. Un accordo, quello siglato a Genova due mesi dopo quella tragedia, tra Navarma, proprietaria di Moby Prince, e Snam-Agip spa, armatore della petroliera Agip Abruzzo contro cui il traghetto finì per scontrarsi, al fine di mettere a tacere le rispettive colpe. Le colpe da cui scaturirono le fiamme che avvolsero tutto e tutti, lasciando miracolosamente in vita soltanto il mozzo, Alessandro Bertrand. Ma ci sono voluti 26 anni per arrivare alla verità, che di certo manca ancora di qualche elemento. Ad ottenerla è stata la Commissione parlamentare di inchiesta del Senato presieduta da Silvio Lai (Pd): dopo due anni di lavoro e non senza difficoltà. Basti pensare che per avere riprova dell’esistenza dell’accordo tra le due compagnie c’è voluto un blitz dello Scico, il reparto speciale della Guardia di Finanza. Sì, perché interpellate formalmente Navarma e Snam avevano entrambe negato l’esistenza di tale accordo. Avevano qualcosa da nascondere? Evidentemente sì.
I TERMINI DELL’ACCORDO
Nella relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul disastro della Moby Prince si legge che Navarma e Snam nell’aprile del ’91 si accordarono rinunciando a qualunque pretesa di indennizzo reciproco. “In solo due mesi – scrive la commissione – gli armatori e le loro compagnie assicuratrici si accordarono per non attribuirsi reciproche responsabilità, non approfondendo eventuali condizioni operative o motivazioni dell’incidente attribuibili ad uno dei due natanti”. Le due compagnie in un certo senso si divisero i compiti: la proprietaria del traghetto si impegnò a liquidare le richieste di risarcimento delle famiglie dei passeggeri e dei membri dell’equipaggio, facendo squadra con la petroliera nel caso in cui una delle famiglie avesse deciso di rivalersi contro l’azienda di Stato appartenente al gruppo Eni. Ma c’è di più: Navarma, come riporta Il Fatto Quotidiano “rinuncia a qualsiasi richiesta di indennizzo nei confronti di Snam per eventuali “eventi inquinanti“, danni al traghetto, conseguenze economiche, costi di soccorso”. Viceversa Snam rinuncia a ogni tipo di pretesa nei confronti di Navarma. Un patto di non belligeranza vero e proprio. Perché?
LA NEBBIA NON C’ERA
Uno dei punti più controversi dell’intera vicenda Moby Prince è quello legato alle ragioni del disastro. Per molti anni, infatti, si è creduto che a provocare l’impatto tra il traghetto e la petroliera fosse stata la scarsa visibilità. Ipotesi di fatto smentita da un testimone oculare residente proprio sul lungomare che – si legge nella relazione della Commissione d’inchiesta – “affacciatosi alla finestra quella notte, ebbe la percezione di una perfetta visibilità tanto che vide la sagoma della petroliera con alcune persone che correvano lungo il ponte, mentre un altro corpo, avvolto dal fumo nero, si muoveva poco più a nord”. Insomma, particolari che in caso di nebbia sarebbe stato impossibile notare. Ma com’è possibile, allora, che a quasi 27 anni dal disastro della Moby Prince ci siano 140 persone morte e nessun colpevole? Responsabilità importanti, secondo la Commissione del Senato, sono da attribuire anche alla stessa Procura di Livorno, la cui attività d’indagine “è stata carente e condizionata da diversi fattori esterni” come le “enormi pressioni cui sembra essere stata oggetto“.