Panchito è tornato a casa. 15 ore di viaggio per toccare di nuovo il suolo italiano e immergersi nelle beghe vaticane, nella riforma senza fine, nella testimonianza di una Chiesa faticosamente fedele al Vangelo. Già lontano fisicamente dalla base aerea di Las Palmas, dove era stato accolto al ritmo di “como no te voy a querer, si eres el Papa Francisco, vicario de Cristo que nos viene a ver“, non ha rinunciato ad alta quota all’abituale conferenza stampa, tracciando un primo bilancio del viaggio che per 8 giorni l’ha portato tra Cile e Perù. E per l’occasione ha sfornato un altro neologismo, parlano di un viaggio “pastorizzado”, che è passato come si fa con il latte, dal freddo al caldo, dal caldo al freddo. Dal sud del Cile al deserto di Iquique, dalla foresta amazzonica di Puerto Maldonado in Perù alle spiagge e alle onde di Trujillo. Ma quando gli è stato chiesto quale era il luogo rimasto nel cuore, ha tirato fuori il più improbabile: il carcere femminile di Santiago.



Parlando della commozione per quelle donne, per la loro creatività, la capacità di cambiare vita, di reinserirsi nella società con la forza del Vangelo. Ogni volta che varca il portone di una prigione, Francesco, viene fulminato da un pensiero, “perché loro e non io”. Parte sempre dalla sua debolezza, dalla coscienza del suo essere peccatore, “salvato” da Dio. Un Papa come sempre bagnato di umiltà quello che si è presentato ai giornalisti sfiancati dalle corse per stargli appresso. Pronto a riconoscere il suo errore, come quello di aver sostenuto la scelta del vescovo di Osorno, Juan Barros, ai microfoni di alcune testate cilene, parlando di “mancanza di prove”. Una dichiarazione che ha ferito non solo le vittime di padre Ferdinando Karima, il sacerdote cileno condannato per abusi sessuali, mentore del vescovo, ma anche le vittime di pedofilia del mondo, trovatesi improvvisamente in una posizione scomoda, quella di “provare” gli abusi subiti.



Al Papa era arrivato anche il rimbrotto del card. Sean Patrick O’Malley, vescovo di Boston, ma soprattutto presidente della Commissione istituita da Francesco per la tutela dei minori, che in un documento pubblico senza precedenti aveva preso posizione contro le parole del pontefice, sostenendo il dolore delle vittime e criticando la posizione del papa. “Le parole del Papa trasmettono il messaggio che se non puoi provare le tue affermazioni, allora non sarai creduto e in sostanza danno l’idea di un abbandono di coloro che hanno subito violenze riprovevoli della loro dignità umana, relegando i sopravvissuti nel discredito”. Francesco che aveva incontrato O’Malley proprio in Perù, davanti al milione e 300mila persone per la messa conclusiva nella base aerea di Las Palmas, a sorpresa, nonostante la bacchettata poco rispettosa dei ruoli, ha ringraziato pubblicamente il paladino delle vittime di pedofilia, il gendarme della linea “tolleranza zero” inaugurata da Benedetto e proseguita da Francesco.



Insomma, un Papa che non solo ha chiesto scusa, ma si è fatto anche correggere da un suo sottoposto, prezioso collaboratore e soprattutto fedele amico. Ai giornalisti ha spiegato di aver usato un’espressione poco felice, e di aver parlato di mancanza di “prove” per le accuse a carico di mons. Barros, mentre sarebbe stato più opportuno parlare di “mancanza di evidenza”, termine legale che in sostanza afferma che nessun testimone si è fatto avanti per accusare il vescovo di Osorno, passato indenne da due approfondite inchieste. Insomma, Francesco si è messo a spiegare per filo e per segno cosa è accaduto in Vaticano da quando è scoppiato lo scandalo, la lettera inviata alla Conferenza episcopale cilena, con cui si valutava l’opportunità delle dimissioni dei vescovi cileni vicini a Padre Karima, le dimissioni presentate per due volte dallo stesso Barros, puntualmente rifiutate, le indagini e la convinzione che il poveretto sia innocente e paghi semplicemente la vicinanza a un uomo carismatico che, in qualche modo, ha ingannato anche lui.

Una conferenza stampa non semplice, per il Papa, in difesa, anche sull’altra vicenda che ha tenuto banco nell’ultima settimana, il commissariamento del Sodalizio, l’associazione laicale peruviana, commissariata dal Vaticano alla vigilia della partenza del pontefice, il cui fondatore, Luis Figari, è accusato di abusi psicologici e fisici a danni di correligionari e minori. Al Papa una ampio settore della stampa peruviana aveva imputato un silenzio omertoso. Persino sul matrimonio tra le nuvole erano piovute critiche e perplessità. Ma su questo è tornato il leone, Francesco, il Panchito amato dal popolo e con i giornalisti ha tagliato corto: i sacramenti sono per gli uomini. Le condizioni erano chiare, compreso ovviamente il “per sempre” e i due si erano confessati. I parroci se ne facciano una ragione, il Papa li ha interrogati bene, avevano all’attivo il corso prematrimoniale e soprattutto non si capisce perché si deve rimandare a domani ciò che si può fare oggi. 

Leggi anche

IL PAPA E LA GUERRA/ Mentre la carne sanguina, il realismo della pace viene solo dal VangeloPAPA FRANCESCO/ Lo sguardo di Bergoglio su ambiente, economia e guerreUCRAINA, RUSSIA, EUROPA/ "Dal corpo di pace alla dittatura Ue, cosa mi ha detto papa Francesco"