Un nuovo caso Charlie Gard divide l’Inghilterra. In realtà, come abbiamo scritto nei mesi scorsi su queste pagine, non è il solo: un altro bambino, sofferente per una malattia rara, Alfie, caduto in coma, si trova nelle stesse condizioni. A tutti e due i medici vogliono staccare la spina che li tiene in vita contro il volere dei genitori. Sia nel caso di Isaiha Haastrup che in quello di Alfie i genitori, come successo nel caso di Charlie, si sono dovuti rivolgere al tribunale per chiedere che i loro figli possano vivere. Isaiah ha sofferto danni cerebrali alla nascita: per i medici del King’s College tenerlo in vita sarebbe “futile” e contro il suo miglior interesse. La solita inquietante decisione, decidere il meglio per gli altri contro il volere dei soli che potrebbero fare tale scelta, i genitori. Secondo i medici ha un livello estremamente basso di coscienza, è attaccato al respiratore artificiale e non mostrerebbe risposte a qualunque tipo di stimolo. Alle proteste dei genitori che invece sostengono che reagisce, dicono trattarsi di spasmi muscolari automatici.
La madre, al tribunale, ha detto invece che quando lo chiama per nome il piccolo apre gli occhi così quando lo lava o lo tiene in braccio. “Non so come i dottori possano essere giunti alle loro conclusioni” ha detto ancora “quello che io vedo è un bambino malato che ha bisogno di amore e di cure”. La donna, profondamente religiosa, ha aggiunto che “è una decisione di Dio chi deve vivere e chi deve morire, le infermiere si prendono cura di lui due minuti al giorno, io sto con lui tutto il tempo”. Per questo ha chiesto che il figlio possa essere portato a casa. Ancora una volta dunque è battaglia tra medici e genitori e ancora una volta si rischia di trasformarla in battaglia giudiziaria. Che, come nel caso di Charlie Gard, avrà un esito che appare scontato. Anche perché la posizione di negare che la vita abbia differenti modi di esprimersi, è qualcosa che non viene nemmeno preso in considerazione, come ha detto uno dei medici: “E’ vivo, ma sta vivendo?”. Ovviamente sì, è l’unica risposta a chi non accetta che si può vivere anche in condizioni di malattia e di dolore.