Melania Rizzoli ha scritto un interessante articolo apparso su Libero, riproponendo un “dilemma” spesso ricorrente nella storia della donna e della sua “emancipazione”: «Ci sono molte donne che se potessero tornare indietro, sceglierebbero di non avere figli, perché sono pentite di essere divenute madri». Lo spunto scatta dallo studio condotto tra il 2008 e il 2016 che ha raccolto centinaia di giudizi e dichiarazioni di donne tra i 16 e i 73 anni, sia madri che non. In molte hanno rivelato sentimenti “contraddittori” rispetto alla maternità e in netta maggioranza vi sarebbe questo risultato: davanti a domande come «Se potesse tornare indietro, sapendo tutto quello che comporta, sarebbe di nuovo madre?”. “Dal suo punto di vista essere madre porta dei vantaggi?”. “Le gioie della maternità compensano gli svantaggi?», la risposta in quasi tutti i casi è stato “No”.



Alla ricerca si è attaccata anche una ricercatrice israeliana della Ben Gurion University, Orna Donath, che ha scritto un saggio dal titolo già provocatorio “Pentirsi di essere madri”: ebbene, secondo il lungo “trattato” della Rizzoli (medico ed ex politico di centrodestra) bisogna riprendere in mano all’interno del mondo femminile l’unico vero tabù rimasto. Non le violenze, non lo sfruttamento e la disparità sul lavoro, ma la maternità: la tesi è semplice, «È stato messo in dubbio che l’ essere madre sia un istinto naturale come il mondo, una gratificazione e un bisogno di propensione necessaria di ogni donna». Contraddittorie e di sicuro grado “polemico” le tesi raccontate nella ricerca condotta e riportata dalla autrice israeliana, partendo dalla messa in discussione del valore sacrale e “complementare” dell’esser madre per tutte le donne.



IL PROBLEMA E L’OBBLIGO

«Il pentimento di aver fatto un figlio è tuttora un tabù sociale, ma è un sentimento molto diffuso, da sempre esistito e transculturale, che oggi sta cominciando ad avere voce, e se ne inizia a parlare senza vergogna, sensi di colpa e senza sentirsi madri sbagliate. Quello delle “mamme pentite” continua tuttavia ad essere uno stigma sociale, qualcosa da nascondere e da non poter confessare, eppure molte donne se potessero tornare indietro non lo rifarebbero, se potessero ripartire sceglierebbero di non diventare mamme, non perché non amano i propri figli, ma perché non sopportano il loro essere madri»: Melania Rizzoli rilancia sul valore per nulla “scontato” dell’esser madre, mettendo in discussione quello che per secoli la stessa cultura umana ha sempre affermato. Plasmata sul valore e l’esperienza cristiana della sacralità della vita, il ruolo della madre è sempre stato elevato a massimo grado di testimonianza di un’amore incondizionato per l’altrui vita.



Anche grazie a questo la donna – che nelle culture arcaiche (e purtroppo vediamo anche oggi in alcune parti del mondo e in alcune religioni, ndr) veniva schiavizzata e declassata – è stata aiutata dal cristianesimo a non essere considerata “inferiore”. Bensì, nella sua differenza dall’uomo, poter essere riconosciuta e valorizzata allo stesso livello e grado. Donna “pentita” di essere madre, oggi nel 2018: come leggere allora questo dato (prodotto di un sondaggio, dunque già di per da prendere con tutti i dovuti rischi di generalizzazione)? Il merito sta nell’aver di certo sollevato una questione come il “tabù” del sentirsi “obbligate” ad essere madri: come ogni aspetto della vita umana, quando ci si accorge di sentirsi “obbligati” nel fare o vivere qualcosa, è segno di qualcosa che non va e che deve esser meglio compreso per poterlo affrontare.

LA SACRALITÀ DELLA LIBERTÀ

«E mentre l’uomo spesso astrae, afferma e impone idee, la donna, la madre, sa custodire, collegare nel cuore, vivificare. Perché la fede non si riduca solo a idea o dottrina, abbiamo bisogno, tutti, di un cuore di madre, che sappia custodire la tenerezza di Dio e ascoltare i palpiti dell’uomo»: a parlare è Papa Francesco nel suo messaggio per la festa della Madre di Dio il 1 gennaio 2018 appena passato. La sacralità dell’essere madre, come abbiamo visto, è origine forte del messaggio cristiano che è riuscito a riconsiderare un elemento presente ben prima della nascita di Cristo ma che viene nella figura meravigliosa della Madonna “veicolato” e testimoniato al mondo intero. La donna, come l’uomo, ha bisogno ogni giorno, ogni era, ogni epoca, di un significato profondo per poter vivere e non sopravvivere: nell’essere madre la natura stessa consiglia che quel frutto della propria carne che è il figlio – seppur incasina, complica e spesso determina scelte non “volute” nelle donne – nel momento in cui viene al mondo diventa un “altro” incredibilmente amato e desiderato nel mistero della maternità. Un mistero e non un obbligo; un aspetto sacro, vitale e “libero” che anche Papa Benedetto XVI spesso sottolineava nell’esaltare il ruolo della donna.

«Le donne si potranno sentire guardate come Dio intende che lo siano e il cuore dell’uomo stesso sa che devono essere guardate. Con la stessa dignità dell’uomo e fregiate di una intelligenza specifica, di un genio che le riconosce capaci di ricreare l’altro. Di difendere, promuovere, richiamare, scaldare figli, mariti, istituzioni, luoghi di lavoro, comunità.. il mondo intero. Nella gravissima omissione  che tante culture operano nei confronti della donna o peggio nel compiere reiterati, sistematici sfregi alla sua dignità, qui si ha la perdita della pace», e poi ancora, «la donna e la madre, con il proprio figlio, sono una unità duale che porta con sé, iscritta nei corpi e nelle anime, la relazione con l’altro, l’amore per l’altro, che indica “una certa somiglianza della comunione divina». L’invito non è “facile” ma fa riflettere: di certo ha ragione Rizzoli quando spiega che «qualunque pentimento, rinuncia o ripensamento, influenza fortemente la psiche di una donna, e a volte ne mina la stabilità emotiva, sia che esse si considerino madri felici, aspiranti madri, madri negate, non madri o madri pentite». Ma nella sacralità “libera” consigliata e testimoniata dalla Chiesa verso tutte le madri di questo mondo vi è già suggerita la possibilità di una pienezza che appunto “libera” e non rende “schiave”. E nemmeno “pentite” di quel frutto d’amore che è ogni figlio o figlia venuti al mondo. Una pienezza raggiunta che è di fatto, ormai, un autentico compimento..