“Amore scusami tanto. Ti lascio qui fuori da sola un attimo. Ma torno subito. Purtroppo devo portare dentro lui, che da solo non ci vuole proprio andare. Smac smac”. “Amore” è una cagnetta, “lui” è un umano di tre anni, figlio per la precisione, della mammina angosciata dal dover parcheggiare, per accudir lei, la delicata bestiola, legandola col guinzaglio al cancello. Facile che “amore” riporti un mezzo trauma psicologico; meno male che c’è lo strizzacervelli anche per i quadrupedi.



Se non accadessero mai simili scene, forse si potrebbe guardare con minore apprensione a notizie come quella, giunta ieri dalla Cina, di avvenuta clonazione di due macachi, nel senso di primati, cioè di esseri del raggruppamento del mondo animale di cui fa parte anche l’uomo. Clonazione vuol dire metodo pecora Dolly, cioè riproduzione di esemplare fotocopia non per scissione gemellare ma per riproduzione asessuale e agamica. Addentrarsi in queste nozioni esige conoscenze scientifiche. Aver presente la scena di “Amore & Lui” all’ingresso della scuola materna, invece, aiuta chiunque disponga di elementare buon senso quantomeno ad interrogarsi sul criterio di giudizio e quindi sulla soglia invalicabile dove il potere della scienza si deve trattenere, come ogni “potere”, perché riconosce il superiore “non negoziabile” valore della dignità umana, a cui la ricerca stessa deve essere chiaramente e interamente orientata pena snaturare sé stessa.



Tra i maggiori meriti della scoperta, stando alle prima dichiarazioni, i ricercatori cinesi vantano futuribili benefici per la cura delle malattie e una prossima riduzione del numero di animali sacrificati per ogni singolo esperimento. Sic. Eh sì, perché loro parlano di un “esercito di primati cloni” da costruire e mettere a disposizione della ricerca. Proposito inquietantissimo. Mi sognerò stanotte un esercito di zombie, pardon di cloni. Del resto ci sarà una ragione per cui la clonazione di primati in Europa è proibita per motivi etici. Non è infatti in sé e per sé la clonazione animale a dover essere esclusa in assoluto; è il suo avvicinamento alla clonazione umana che deve trovare il cammino sbarrato.



Qui non si scherza. Siamo alla vigilia della possibilità teorica di clonare l’uomo. Segnare il confine invalicabile è compito dell’etica e delle leggi, non v’è dubbio. Ma l’etica e le leggi vanno dietro alla testa (e talvolta alla pancia, ahimè) degli uomini. I quali, se sono potenti, sono pure capaci di sfidarsi a chi ha il bottone più grosso per far esplodere la bomba atomica. O, vuoi mai vedere?, per clonare manipoli di cavie umane…

Noi gente comune che per fortuna non abbiamo grossi bottoni, possiamo e dobbiamo tenere viva la domanda su cosa fa essere l’uomo uomo, essere unico, irripetibile e libero: non il posto nella catalogazione del Linneo, ma il rapporto con l’infinito: sentito, presentito, desiderato, pregato o anche inconsapevolmente agognato, o dolorosamente segnato dalla ferita della sua mancanza.

Se nell’umano non arriviamo a vedere questo, non cerchiamo questa profondità, non riconosciamo con chiarezza questo livello, finiremo per non capire perché mai preferire un bambino rompiballe a una cagnetta buona. In fondo sono due oggetti, valutabili sotto il profilo dell’appagamento che ci danno. E siccome segni di questa confusione non mancano, la linea invalicabile di confine tra il potere e l’umano rischia di diventare evanescente. Meglio fare chiarezza, soprattutto mettendo, accese sopra il moggio, lampade di chiara testimonianza di amore all’umano. E stare all’erta.