Trattativa Stato-mafia, il rapporto tra Cosa Nostra e Forza Italia a processo, con Silvio Berlusconi e, soprattutto, il suo braccio destro Marcello Dell’Utri nel mirino della magistratura. Al vaglio le dichiarazioni di pentiti e testimoni, con l’ascesa politica del Cavaliere e i collegamenti con la malavita organizzata al centro del processo. Come sottolinea Il Fatto Quotidiano, il magistrato ha fatto esplicito riferimento alle dichiarazioni del pentito Tullio Cannella, che ha parlato e chiarito le connessioni tra la mafia e gli esponenti politici: “Gli agganci potenti con esponenti politici li avevano i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, boss del mandamento di Brancaccio a Palermo. Erano loro che si occupavano di politica per risolvere e i problemi di Cosa nostra, come la legislazione sui collaboratori di giustizia”. “Il collaboratore Cannella ha riferito anche che 15 giorni prima della scadenza per la presentazione delle liste elettorali per le politiche del 1994 si rivolse a Leoluca Bagarella per avere la possibilità di inserire un candidato del suo movimento Sicilia Libera nel Polo delle Libertà. Bagarella gli disse che lo avrebbe messo in grado contattare un soggetto per l’inserimento di un candidato per il Pdl. La persona che avrebbe incontrato era Vittorio Mangano“, ha poi proseguito il pm Dal Bene. (Agg. Massimo Balsamo)



CIANCIMINO SU DELL’UTRI

Trattativa Stato-Mafia, in tribunale prosegue il processo che riguarda il presunto patto tra Cosa Nostra e Forza Italia, con la prima in appoggio a Silvio Berlusconi grazie alla figura chiave di Marcello Dell’Utri. L’ex politico, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, ha un ruolo chiave nel processo e molto importanti risuonano le parole del testimone Vito Ciancimino che, come riporta Antimafia 2000, “ha escluso che il padre Vito conoscesse l’ex senatore o che fosse suo socio. Tuttavia aveva saputo che aveva fatto da tramite per Milano 2. Inoltre ha dichiarato che dopo l’arresto del padre proprio Dell’Utri era subentrato come nuovo referente politico a seguito delle stragi del 1992. E fonte del padre era Bernardo Provenzano”. Oltre al legame con Vittorio Mangano, esponente della mafia siciliano e assunto ad Arcore con un lavoro, per Marcello Dell’Utri, Silvio Berlusconi e Forza Italia nuove accuse. (Agg. Massimo Balsamo)



PM DEL BENE: “PATTO COSA NOSTRA-BERLUSCONI”

Nel 1994 Cosa nostra appoggiò Marcello Dell’Utri e Forza Italia. Quando Leoluca Bagarella, cognato del capomafia Totò Riina, apprese della discesa in campo di Silvio Berlusconi per le politiche dirottò il suo sostegno al partito attraverso i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano. Lasciò perdere il movimento Sicilia Libera che aveva fondato e confluì in Forza Italia. Questa è la tesi del pubblico ministero Francesco Del Bene, espressa nella requisitoria del processo sulla “trattativa Stato-mafia” e riportata dal Fatto Quotidiano. Davanti ai giudici della corte d’assise di Palermo, presieduta da Alfredo Montalto, ha citato anche alcune frasi della sentenza definitiva con la quale Dell’Utri è stato condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. La Cassazione disse che tra «Cosa nostra da una parte, Berlusconi e Dell’Utri dall’altro, il rapporto era paritario» e spiegò che Dell’Utri «era un nuovo autorevole interlocutore del dialogo con Cosa nostra». Il pm Del Bene ha parlato anche degli attentati di Cosa nostra alla Standa di Catania, che all’epoca era di proprietà di Silvio Berlusconi. Per l’accusa erano attacchi intimidatori che sarebbero cessati dopo un accordo tra Cosa nostra e Berlusconi, proprio con «l’intermediazione di Marcello dell’Utri».



TRATTATIVA STATO MAFIA: GLI ATTENTATI ALLA STANDA DI CATANIA

Il pubblico ministero Francesco Del Bene ha citato alcune dichiarazioni di collaboratori di giustizia per confermare l’esistenza di un patto tra Cosa nostra e Silvio Berlusconi. Anche il pm Roberto Tartaglia in una delle scorse udienze spiegò che «i boss puntarono all’intimidazione, per poi raggiungere il patto», citando proprio gli attentati alla Standa di Catania del 1990/91. «Il pentito Malvagna ci ha raccontato che scese un alto dirigente Fininvest per risolvere la questione». Si tratta di Dell’Utri, stando a quanto riferito da un altro pentito, Maurizio Avola, e avrebbe incontrato il capomafia Nitto Santapaola. Inoltre per i pm Dell’Utri «aveva un potere ricattatorio su Berlusconi per effetto dei rapporti pregressi». Nelle sue agende per la procura ci sono comunque riscontri importanti. Alla data del 12 novembre 1993 si fa cenno a Vittorio Mangano, ex fattore mafioso di casa Berlusconi.

«La presenza di Vittorio Mangano ad Arcore, mafioso del mandamento di Porta Nuova, per il tramite di DellìUtri, rappresenta la convergenza di interessi tra Berlusconi e Cosa nostra». Una conferma dunque a proposito dei nuovi contatti con Cosa nostra. «Mangano era stato in carcere dal 1980 al 1990, era un mafioso conclamato che incontrava Dell’Utri». Dell’incontro parlò anche Riina nelle sue intercettazioni in carcere. A tal proposito c’è anche una deposizione del pentito Gaetano Grado, il quale nel 2015 raccontò che Mangano «portava fiumi di miliardi da Palermo a Milano. Erano soldi del traffico di droga di Cosa nostra che Mangano consegnava a Dell’Utri, poi Dell’Utri li consegnava a Berlusconi che li investiva nelle sue società, mi pare anche per Milano due. La mafia ha bisogno di investire. Siccome i soldi della droga erano talmente tanti che non si sapeva più quanti fossero, Mangano esportava fiumi di denaro su a Milano».