Già introdotta nell’edizione 2008 della Bibbia “ufficiale” a cura della Cei, la nuova versione del Padre nostro diventerà ufficiale anche nelle liturgie verso la fine dell’anno. Dal 12 al 14 novembre prossimo infatti la Cei ha convocato una assemblea straordinaria dei vescovi italiani per discutere e approvare la terza edizione del Messale romano. Al centro la nuova versione del Padre nostro, di cui si è discusso molto negli ultimi mesi dopo che papa Francesco aveva commentato che la versione che usiamo da secoli è tradotta “in modo sbagliato”. Il verso incriminato è il “non indurci in tentazione”. La critica, giusta, è che è impossibile che Dio induca qualcuno in tentazione, al contrario. La nuova versione sarà invece sostituita con il verso “E non abbandonarci alla tentazione”, nel senso di una richiesta a Dio di aiutarci a non cadere nella tentazione demoniaca. «Questa è una traduzione non buona», aveva spiegato il Papa. «Sono io a cadere, non è Lui che mi butta nella tentazione per poi vedere come sono caduto. Un padre non fa questo, un padre aiuta ad alzarsi subito. Chi ci induce in tentazione è Satana, è questo il mestiere di Satana». Tale nuova traduzione è già in uso nella Chiesa francese, la prima al mondo a decidere il cambiamento.
E’ un avvenimento importante? Assolutamente sì. Il Padre nostro infatti è l’unica preghiera che Gesù nella sua vita terrena ha insegnato agli apostoli, diventa dunque quella più importante. Purtroppo nel corso dei secoli le varie traduzioni, soprattutto quella iniziale dal greco in latino hanno subito delle interpretazioni non corrette, come è normale che potesse succedere. Un’altra frase “incriminata” ad esempio è quella famosissima del “E’ più facile infatti per un cammello passare per la cruna d’un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio!” (Luca 18:25) e anche “Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio” (Matteo 19:24). In realtà l’immagine del cammello che passi da una cruna d’ago non ha mai avuto senso, Gesù faceva infatti riferimento alle reti usate dai pescatori e cucite con aghi. Colpevole dell’errore di traduzione sarebbe stato il patrono dei traduttori della Bibbia, San Gerolamo, che avrebbe inteso “kamelas” invece del simile “kamilas”, una grossa fune o una gomena di nave. C’è poi un’altra versione, quella aramaica che considera una possibile confusione tra i termini “gamla” (cammello) e “gamta” (filo robusto).L e parole esatte di Gesù dunque sarebbero state: “E’ più facile che una grossa fune passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno di Dio“. Ma certamente il caso del Padre nostro, una preghiera, è molto più importante c che abbia degna e significativa traduzione.