Vittorio Sgarbi querela il pm Francesco Del Bene, il quale ieri nella requisitoria nel processo sulla presunta trattativa Stato-mafia ha messo in relazione le sue battaglie in materia di giustizia, quando conduceva “Sgarbi quotidiani”, ad una presunta strategia concordata tra Marcello Dell’Utri e Vittorio Mangano. Per Sgarbi è una «palata di fango». Al centro dell’attenzione di Del Bene le battaglie contro gli abusi dei pm sulla carcerazione preventiva e sulla contestazione del reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Per Sgarbi si tratta di «una tesi senza alcun fondamento, buttata lì, in mezzo alla requisitoria, quasi come ammonimento a chi osa criticare l’operato di pm che non cercano fatti o prove, ma suggestioni da dare in pasto alla stampa». Per il politico italiano l’accostamento del suo nome a quello di Mangano «è gravemente diffamatorio e Del Bene ne dovrà rendere conto». E rincara la dose: «Pensavo che l’opera di “mascariamento”, assai di moda in Sicilia nei confronti dei nemici, fosse solo una prerogativa della mafia: prendo atto che così non è». (agg. di Silvana Palazzo)
“PAESE IN MANO A COSA NOSTRA”
Secondo l’impianto accusatorio della Procura di Palermo, il processo sulla presunta “trattativa Stato-Mafia” starebbe a dimostrare che il Paese fu “ceduto” dalla Politica di allora completamente in mano a Cosa Nostra. Insomma, un’accusa gravissima che finora va detto ha visto più elementi oscuri e poco chiari che non delle vere e proprie prove; starà ai magistrati scoprirlo e decretarlo, intanto le requisitorie di oggi dei pm palermitani sono state lunghe e piene di elementi “scottanti”. «Come in un puzzle abbiamo messo insieme le tessere – ha affermato in aula il pm Teresi – Un quadro d’insieme a tinte fosche, con qualche tessera sporca di sangue, il sangue di quelle vittime delle stragi. Come quella di Capaci, consumata per vendetta e per fermare la grande evoluzione normativa impressa da Giovanni Falcone. Quella fu l’ultima strage della prima Repubblica, perchè i fatti poi si sono evoluti ma Paolo Borsellino era visto come un ostacolo al cambiamento che si voleva e si pensava nel momento in cui si avvia la trattativa. Via D’Amelio è la prima strage della seconda Repubblica». (agg. di Niccolò Magnani)
POLEMICA SUI 15 ANNI RICHIESTI PER IL GENERALE MORI
Fa discutere e non poco la richiesta di condanna a 15 anni per il generale Mario Mori, la mente dell’arresto di Totò Riina, ex capo dei Ros ed ex direttore del Sisde: stupisce infatti che la richiesta dei pm di Palermo nel processo “Stato-Mafia” sia di solo un anno inferiore ad un “pluriassassino capomafia come Leoluca Bagattella”, come riferito dal primo commento di Massimo Bordin sul Foglio. Per il giornalista ex direttore di Radio Radicale le richieste della Procura in realtà «devono sostanziare l’impostazione accusatoria che vuole ribaltare i numerosi processi che sui temi di questa indagine nata diversi anni fa, dalla mente del procuratore aggiunto Ingroia, ha portato a numerosissime assoluzioni degli stessi imputati che ora si rivedono di nuovo accusati delle stesse vicende per le quali sono stati già assolti. Questo è un paradosso di questo processo. Un processo tutto induttivo, tutto politico». Non solo secondo Bordin ma secondo tanti altri osservatori che hanno sempre visto il processo sulla “trattativa” più un pericolo che un bene per la Sicilia, il forte rischio ora sarà sulle possibili influenze che “lo spirito del tempo passato” potrebbero influire sulle sentenze dei prossimi mesi. (agg. di Niccolò Magnani)
CHIESTI 12 ANNI A DELL’UTRI
Si è svolta questa mattina la lunga requisitoria da parte dei quattro pm di Palermo nell’ambito del processo sulla cosiddetta Trattativa Stato-mafia, al termine della quale sono arrivate puntuali le pesanti richieste di condanna. Le più severe riguardano il boss mafioso Leoluca Bagarella – ultimo imputato ancora in vita dopo la dipartita di Provenzano e Riina e ritenuto tra i “grandi capi” – e l’ex comandante del Ros dei Carabinieri, Mario Mori, per i quali è stata chiesta una condanna rispettivamente a 16 e 15 anni. Tra le altre richieste avanzate dai pubblici ministeri e che coinvolgono altri imputati finiti alla sbarra sia sul fronte mafioso che su quello istituzionale, come riporta Corriere.it, ci sono anche quelle che hanno riguardato Nino Cinà, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, il primo boss mafioso e gli ultimi due entrambi ex carabinieri del Ros in servizio durante il periodo delle stragi. Nei loro confronti le richieste sono state sensibilmente inferiori, ovvero pari a 12 anni di reclusione. Gli stessi anni di carcere sono stati chiesti anche a carico dell’ex senatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri, già in carcere per una condanna a 7 anni per associazione mafiosa in concorso. Nell’ambito della presunta trattativa Stato-mafia avrebbe svolto il compito di mediatore tra le richieste dei rappresentati di Cosa Nostra e il governo di Berlusconi.
TRATTATIVA STATO-MAFIA, ATTO FINALE: SENTENZA AD APRILE?
I pm Vittorio Teresi, Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, dunque, hanno così avanzato le loro richieste di condanna al cospetto della Corte d’Assise sottolineando: “Sono colpevoli e vanno condannati”. A loro detta, gli uomini dello Stato e quelli della mafia sarebbero accusati di aver dialogato, o meglio trattato, mentre avvenivano fatte esplodere le bombe fra la Sicilia e il Continente (le stragi di Capaci e via D’Amelio nel ‘92, gli attentati in continente nel ‘93 e quello fallito allo stadio Olimpico di Roma nel ‘94). Tra gli imputati c’era anche l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino al quale la procura ha avanzato la richiesta di condanna a 6 anni con l’accusa di aver detto il falso. A restare fuori il killer della strage di Capaci, Giovanni Brusca, poiché il reato è prescritto. Lo stesso vale per Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo ed accusato di calunnia nei confronti dell’ex capo della polizia Gianni Di Gennaro per il quale la procura aveva chiesto 5 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, ma anche in questo caso non si è proceduto “per intervenuta prescrizione”. Dopo oltre 4 anni e mezzo di dibattimento e 210 udienze, il processo sulla Trattativa Stato-mafia è ormai giunto al capitolo conclusivo. La prossima settimana toccherà alle parti civili prima di lasciare la parola alle difese, quindi la sentenza che potrebbe arrivare il prossimo aprile.