Ritardi, treni soppressi, vagoni ghiacciaia, carrozze chiuse e pendolari stipati come sardine. Sono alcune delle interminabili voci che potrebbero costituire i capitoli di un lungo e accorato quaderno di doglianze, atto a descrivere le quotidiane sofferenze di un pendolare che viaggia verso Milano sulle nostre disastrate linee ferroviarie locali.



Tutte sciocchezze, verrebbe da dire oggi, se confrontate con quanto tutti noi ora abbiamo sotto gli occhi: un treno deragliato, lamiere contorte sporche di sangue, morti e feriti. Altro che arrivare in ritardo al lavoro, qui si parla di ben altro: morire mentre si viaggia in una tranquilla mattina d’inverno, sentire i pensieri di inizio giornata improvvisamente interrotti da un boato e trovarsi trascinati e sballottati in uno scenario che, come raccontato da chi era all’interno di quel treno, aveva dell’apocalittico. 



In realtà le quotidiane sofferenze dei pendolari e la tragedia avvenuta a Pioltello ieri mattina sono, pur nella differente gravità dei fatti, parti di un unico problema. Se si vive costantemente a contatto con situazioni in cui tutto è trattato e gestito in maniera approssimativa, con superficialità, senza nessuno che si assuma la responsabilità del proprio lavoro, si capisce immediatamente che in un tale contesto qualcosa di grave, o quanto meno di più serio rispetto ai consueti fastidi quotidiani, prima o poi deve succedere.

Sui nostri treni locali la situazione è esattamente questa: una generale e snervante incuria visibile in ogni minimo particolare, dove si dà ormai per scontato che tutto debba andare avanti in un certo modo, relegando nel mondo delle utopie ogni possibile miglioramento. È una vera sciocchezza sentire i politici di turno che adesso si mettono — e tantissimi nei prossimi giorni si metteranno — a sbraitare sul problema degli investimenti nel trasporto locale. Metti più soldi, e non farai altro che sbattere via più soldi. Perché su quegli stramaledetti treni, e soprattutto su quelle stramaledette linee, non funziona nulla, niente di niente. È l’intero sistema del trasporto ferroviario che è da prendere, buttare nel cestino e ripensare da capo. Immettere nuove vagonate di soldi in un sistema marcio sarebbe esattamente come prendere quei soldi e bruciarli.



Perché basta viaggiare su quei treni per capire che è tutto da rifare. Partendo, innanzitutto, dal senso di responsabilità di chi su quelle tratte lavora. Mandiamo una volta per tutte all’aria quel sistema iper-sindacalizzato in cui quasi nessuno fa seriamente il proprio lavoro e rivendica solo diritti, con tanto di scioperi del venerdì in favore del week-end lungo, e vediamo se riusciamo a creare un sistema in cui c’è qualcuno che si assume la responsabilità di capire se una rotaia va sistemata o no, di capire se uno scambio va fatto o no, di capire se è il caso o no di lavorare con solerzia per far sì che al pendolare sia garantito il sacrosanto diritto di viaggiare con dignità e di non perdere anni di vita e pezzi di fegato (parlo per esperienza) per la rabbia feroce che ti prende quando una giornata faticosa finisce con una corsa soppressa o con un treno fermo in mezzo alla campagna perché un passaggio a livello non funziona. 

È lì che si annida gran parte del problema: che di quella rotaia, di quello scambio, di quel passaggio a livello, di quella corsa soppressa, non gliene frega niente a nessuno in quel carrozzone sgangherato che sono le Ferrovie dello Stato, con i suoi addentellati vari. Si fa bello — oggi poi! — a fare delle inutili polemiche contro i politici di turno. Tutte balle. Siamo ancora al vecchio e insuperato problema dell’inefficienza della macchina dello Stato, con dipendenti fannulloni, soldi sprecati, assenza di efficienza. Chi pensa che sbattere altre risorse in un sistema marcio come questo senza prima rifondarlo sia la soluzione, è semplicemente corresponsabile di questa grave situazione in cui si rimane invischiati nel vecchio vizio di mantenere e ingrassare la macchina statale.

Allora oggi, mentre siamo qui a scrivere con apprensione perché ci sono amici in ospedale in gravi condizioni, e preghiamo perché possano tornare alla loro normale vita quotidiana, alle loro famiglie e al loro lavoro, non possiamo però lasciare che il dibattito scada per l’ennesima volta nelle accuse reciproche e nelle inutili esclamazioni generiche di scandalo o di vergogna che tanto proliferano in particolare sui social network. 

Si sa che mettersi a parlare di autentiche riforme, di vera liberalizzazione del sistema e di concorrenza in un paese come il nostro può sembrare la più grande delle utopie. Ma si può almeno sperare che la conseguenza di questa tragica giornata non siano le solite, semplici e incondizionate immissioni di denaro pubblico in un ingranaggio inefficiente e autoreferenziale, in cui la condizione di soddisfazione di colui che usufruisce del servizio è un problema del tutto inesistente, come l’esperienza quotidiana dei pendolari mostra in maniera lampante.