Dall’intenso lavoro della Commissione d’inchiesta sul drammatico incidente della Moby Prince emerge anche un’altra terribile verità, a distanza di 26 anni dalla sciagura ed ha a che fare proprio con le 140 vittime dell’incidente. Secondo le due sentenze che hanno chiuso il caso senza alcun colpevole, i passeggeri del traghetto avrebbero avuto solo 20 minuti di vita. Nella realtà però, le cose sarebbero andate diversamente: dallo scontro con la petroliera sono trascorse interminabili ore prima dell’arrivo dei soccorsi. A provarlo sarebbero i vari elementi raccolti dalla Commissione d’inchiesta, a partire dalla consulenza di un medico legale secondo la quale i 140 passeggeri avrebbero respirato per ore il fumo. Ci sarebbe inoltre l’immagine di un uomo che dopo molte ore sarebbe salito sul ponte della nave per chiedere aiuto, prima di essere carbonizzato in pochi minuti. Fino a quel momento, però, si suppone sia stato in un luogo sicuro. Ed ancora, dalle foto scattate dai vigili del fuoco, c’è fuliggine sulle auto e le orme di molte mani. Secondo i periti, anche dopo che le fiamme furono domate molte persone si spostarono in cerca di un luogo sicuro. A rafforzare tale tesi, la testimonianza di Alessio Bertrand, unico sopravvissuto: “Quando mi hanno soccorso ho detto che c’erano ancora persone vive”. La conclusione, drammatica, è che nessuno tentò di salvare i 140 passeggeri. (Aggiornamento di Emanuela Longo)



NUOVA TESTIMONIANZA: “NON C’ERA NEBBIA”

Lo scorso dicembre la Commissione parlamentare d’inchiesta ha ufficialmente concluso i suoi lavori in riferimento alla sciagura del Moby Prince, il traghetto che la sera del 10 aprile 1991 si scontrò con la petroliera Agip Abruzzo. Nella collisione morirono 140 persone ma per 26 lunghi anni, quanto accaduto nel porto di Livorno ha rappresentato dei maggiori misteri italiani. Oggi, come spiega il quotidiano La Stampa, dopo il lavoro della Commissione d’inchiesta si fa sempre più concreta la necessità di riscrivere da zero la storia sulla drammatica vicenda, anche alla luce alcune nuove certezze emerse nel corso del lungo lavoro. A ribaltare l’ormai superata versione processuale, sarebbe ora la testimonianza di Guido Frilli che già all’epoca dei fatti aveva spiegato agli inquirenti ciò che aveva realmente visto la notte del disastro, sebbene il suo verbale non entrò mai nel fascicolo d’indagine. Frilli ha poi ribadito la sua verità anche al cospetto della Commissione d’inchiesta: “Quella notte in rada non c’era nebbia, lo ribadisco. Sono stato alla finestra fino all’una del mattino e vedevo con chiarezza ciò che stava accadendo”. Le sue parole andrebbero così a smentire definitivamente l’ipotesi della nebbia che secondo i magistrati aveva rappresentato la principale causa del disastro del Moby Prince, del quale non si conoscono ancora dinamiche esatte e cause. La stessa versione fornita da Frilli, spettatore involontario, era stata fornita anche dall’ex pilota del porto di Livorno, dall’avvisatore marittimo e da due ufficiali della Guardia costiera. Lo stesso Frilli ha sottolineato come anche nei giorni successivi all’incidente si fosse recato in Capitaneria riferendo l’assenza di nebbia.



MOBY PRINCE: TERMINATI I LAVORI DELLA COMMISSIONE D’INCHIESTA

Il racconto emerso dal testimone in Commissione parlamentare d’inchiesta non era mai emersa prima e solo adesso, a lavori ormai conclusi, arriva la conferma che le indagini condotte negli anni passati sarebbero state superficiali e poco fedeli a quanto realmente accaduto. Il lavoro della Commissione presieduta da Silvio Lai del Pd è durato 25 mesi durante i quali si sono susseguite 72 audizioni, tutte mirate a fare luce su quanto avvenuto la notte del 10 aprile 1991. Per la relazione finale occorrerà ancora attendere alcuni giorni ma quanto emerso assume una così elevata importanza da rendere concreta l’apertura di una nuova inchiesta. Ed è proprio questo ciò che sperano i parenti delle vittime che da anni cercano la verità su quanto accaduto 26 anni fa: “Non so se arriveremo mai alla verità totale. Di certo, l’esito delle audizioni dimostra che a provocare il dramma non è stata la distrazione dell’equipaggio. Non credo che sarà mai possibile, ma sarebbe utile capire anche le cause dell’impatto”, ha dichiarato Luchino Chessa, figlio del comandante del traghetto.

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