Al cuore di uno dei film che amo di più, Le ali della libertà, c’è una battuta che il protagonista dice dopo un mese nella cella di rigore, poco più di un metro per un metro: “C’è qualcosa dentro di te che nessuno ti può toccare né togliere, se tu non vuoi. Si chiama Speranza”.
Laura Salafia la ripropone a pagina 44 del libretto appena uscito (Una forza di vita, per info [email protected]) che raccoglie i suoi scritti pubblicati in questi anni sul giornale di Catania La Sicilia. Solo che quello è un film, questa è realtà vera. E durissima: nel 2010 Laura mentre esce dall’università di Catania viene colpita da una pallottola vagante al midollo spinale. Risultato: condannata alla sedia a rotelle a vita. Lei, giovane, bella e innamorata della vita, appassionata dello studio e dei bambini e del fidanzato e di tutto, si ritrova “prigioniera del proprio corpo”. Ce n’è di che maledire Dio, l’universo, gli uomini…
Laura no. Laura decide di tener desto il desiderio di vivere che l’ha sempre animata: “Anche se la sofferenza è divenuta la mia compagna di cammino — scrive — questo fatto non mi determina”. Fa venire la pelle d’oca. Come fa a non lasciarsi schiacciare dalla situazione? “Il mio segreto — prosegue — è scoprire dentro ogni giornata, dentro ogni circostanza il bene che c’è”. Il bene, il bene che c’è, sempre, di cui la realtà è fatta. Il miracolo, il più grande miracolo — a me pare — è questo: una persona che ferita, colpita nella carne, spezzata nella carne, impedita a fare quasi tutto quel che aveva sempre fatto, riesce a sollevare lo sguardo (“Chiamati a guardare in alto, nessuno sa sollevare lo sguardo”, dice il profeta Osea; lei, Laura, ci riesce), a non fermarsi al male che la bloccherebbe ma a tenere gli occhi spalancati sul bene che le sta intorno: “Voglio scrutare la bellezza della vita, voglio ardentemente vivere”.
Come fa? “Per vederlo devo essere certa di avere sempre con me un Amico, un Grande Amico con cui è come se avessi un patto segreto. Lui sa cosa è bene per me”. Certo, questo Grande Amico non è un’immagine distante: prende corpo nel padre e nella madre e nella moltitudine di amici che la seguono, la aiutano, la accompagnano. Ma vale anche il contrario: la cercano per la luce che splende nei suoi occhi. Come il cerimoniere vaticano che le si avvicina durante l’udienza papale del 2016, colpito dal suo volto “sereno e pieno di luce”.
Come è stato colpito un ergastolano di Milano che ha letto della storia di Laura, le ha scritto e insieme hanno avviato una corrispondenza che gli ha cambiato la vita: “Ha trovato nel mio modo di vivere — ha raccontato Laura durante un’assemblea in una scuola catanese — una forza per andare avanti. Ha studiato, ha preso il diploma (l’ha dedicato a me). Adesso sta continuando a studiare per l’università. Lui dovrà vivere in una cella fino alla fine dei suoi giorni, ma ha trovato la speranza in questo nuovo percorso che sta facendo”.
Miracoli. Miracoli che nascono dalla novità più grande che Gesù ha portato nel mondo, come spiega Laura a chi le chiede cosa pensi del suo feritore: “Il perdono è la prima arma che ti rende libera. Non perdonare non serve a nulla. Il rancore non ti fa crescere, ti incupisce: il perdono ti fa andare oltre”. Il miracolo della libertà, il miracolo del perdono.