È intervenuto sull’Agi il noto geofisico e Professore Ordinario Sismologia, Università di Bologna Enzo Boschi per commentare l’importante scoperta scientifica avvenuta ieri con la pubblicazione dell’Ingv: con la possibilità di terremoti a più basse profondità e con origine “magmatica” lo studio della geofisica si allarga completamente e arriva ad intercettare importanti novità per il futuro prossimo, anche in termini di prevenzione. «La sequenza sismica che ha inizialmente attratto l’attenzione dei nostri geofisici possa essere ascritta a una vera e propria intrusione magmatica. Inoltre sono disponibili dati che mostrano in modo incontrovertibile che i gas rilasciati dall’intrusione sono costituiti per lo più da anidride carbonica, arrivata in superficie come gas libero o disciolta negli acquiferi dell’area appenninica considerata». Il risultato per Boschi ha una notevole rilevanza anche perché apre nuove strade alla identificazione delle zone di risalita del magma nelle catene montuose e «mette in evidenza come tali intrusioni possano generare terremoti con magnitudo significativa», spiega Boschi nel suo lungo intervento sull’agenzia Agi. Da tempo, spiega l’esperto, in Italia e non solo si cercava di capire quali potevano essere le modalità di trasferimento dei vari gas dal mantello alla superficie della crosta terrestre: ebbene, con la scoperta INGV la risposta è finalmente arrivata. «La sequenza del Matese ha evidenziato la contemporanea presenza di una dinamica magmatica profonda e un possibile cammino di risalita dei fluidi ricchi in CO2 dal mantello alla superficie terrestre. È molto probabile che situazioni simili interessino altre zone del settore tirrenico degli Appennini caratterizzate dall’emissione di fluidi ricchi in CO2».
LA RICHIESTA DI CLEMENTE MASTELLA
Terremoto, magma sotto Appennino campano: nuovi aggiornamenti sulla situazione, scoperta sensazione dell’Ingv della sorgente. Come sottolinea ntr24.tv, il sindaco di Benevento Clemente Mastella ha voluto fare chiarezza circa la vicenda che preoccupa i residenti della zona: “Nelle prossime ore formuleremo una richiesta ufficiale alla Regione Campania affinché venga convocata una riunione che coinvolga le istituzioni del territorio interessato al fenomeno, la Protezione civile, le Università degli studi di Napoli e del Sannio e i ricercatori dell’Istituto nazionale di Geofisica e vulcanologia e del Dipartimento di Fisica e Geologia dell’Università di Perugia (DFG-UNIPG) che hanno condotto lo studio in modo da poter approfondire la valutazione del rischio sismico esistente nella suddetta area e poter quindi mettere a punto una strategia di interventi in grado di ridurre significativamente le conseguenze di eventuali eventi tellurici”. (Agg. Massimo Balsamo)
“NON LEGATO A EVENTI DI AMATRICE”
Ha parlato poco fa in una intervista in diretta a RaiNews 24 il vulcanologo dell’INGV Guido Ventura che ha provato a spiegare più da vicino gli effetti e le possibile conseguenze della scoperta del magma sotto gli Appennini meridionali. «Innanzitutto dobbiamo capire una cosa: i terremoti che potranno nascere in futuro da questi eventi magmatici non hanno nulla a che vedere con i drammi avvenuti di recenti in Centro Italia». Qui infatti si parla di origini “magmatiche” e non di movimenti di placche come invece capitato nei gravi terremoti di Amatrice, Norcia e gli altri Paesi coinvolti nel cono sismico ancora attivo ad un anno e mezzo dal primo gravissimo sisma del 24 agosto 2016. Ventura spiega però che gli studi effettuati sugli Appennini potranno comunque aiutare e non poco il futuro della gestione di crisi sismiche, con un’ampia prevenzione: «può aiutare eccome lo studio di queste sequenze, ci facilita nel comprendere meglio la formazioni delle catene montuose e delle spaccature. L’Italia è in posizione avanzata in questo tipo di studi e questi eventi non dovrebbero avere effetti su un abitato costruito bene», conclude il vulcanologo.
ECCO COME È STATA SCOPERTA LA SORGENTE
Il centro di vulcanologia e sismologia dell’Ingv ha spiegato anche nel dettaglio come è stata rinvenuta la “sorgente di magma” che ha portato poi alla clamorosa scoperta sui presunti terremoti negli anni prossimi sotto gli Appennini meridionali: «La prima scossa si fece sentire sui monti del Matese il pomeriggio del 29 dicembre 2013. La magnitudo 5 (i terremoti iniziano a essere distruttivi da magnitudo 5.5) e la profondità (la scossa iniziale superava i 20 chilometri) impedirono che il sisma causasse danni significativi, anche se il tremore fu avvertito fino a Napoli», spiega Nicola Alessandro Pino dell’Ingv. Da quei dati partì tutto, una sequenza “classica” negli Appennini ma con una decisa anomalia subito riscontrata. «In poche ore gli ipocentri sono saliti da oltre 20 chilometri a 10 chilometri. Le scosse si sono mosse verso l’alto lungo due linee dritte, come se un fluido stesse risalendo verso l’alto ai due margini di una frattura». Il centro di ricerche è riuscito a scoprire come il magma su cui si preme in profondità degli Appennini ha una tale pressione così forte da spaccare le rocce e sollecitare in qualche modo le spaccature già esistenti, causando terremoti normali ma potenzialmente anche ben più gravi.
SCOPERTA SORGENTE MAGMA SOTTO GLI APPENNINI
Notizia-bomba nel mondo della geofisica: sotto l’Appennino meridionale nell’area del Sannio-Matese (tra Campania e Basilicata) è stata trovata una sorgente di magma che potrebbe generare nei prossimi anni terremoti di magnitudo significativa e con maggiore profondità di quelli finora registrati in quell’area specifica sempre molto attiva sotto il profilo sismico. La scoperta, pubblicata sulla rivista Science Advances, è dell’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) e dal Dipartimento di Fisica e Geologia dell’Università di Perugia: «I terremoti e gli acquiferi dell’Appennino meridionale svelano la presenza di magma in profondità nell`area del Sannio-Matese», si legge nel lungo lavoro pubblicato stamani che allerta e non poco le popolazioni presenti in quell’area. I ricercatori hanno spiegato che le catene montuose dell’Appennino meridionale «sono generalmente caratterizzate da terremoti riconducibili all’attivazione di faglie che si muovono in risposta a sforzi tettonici. Tuttavia, studiando una sequenza sismica anomala, avvenuta nel dicembre 2013-2014 nell’area del Sannio-Matese con magnitudo massima 5, abbiamo scoperto che questi terremoti sono stati innescati da una risalita di magma nella crosta tra i 15 e i 25 km di profondità», spiega Francesca Di Luccio, geofisico INGV e coordinatore, con Guido Ventura, del gruppo di ricerca generale.
TRA MIGLIAIA DI ANNI NUOVO VULCANO?
L’anomalia riscontrata dai ricercatori Ingv sarebbe legata non solo alla profondità dei terremoti delle sequenze registrate, «ma anche a particolari forme d’onda degli eventi più importanti e simili a quelle dei terremoti in aree vulcaniche», spiega ancora la Di Luccio. In particolare, gli studi composti dall’INGV hanno dimostrato che vi sono dei gas rilasciati da quell’intrusione di magma che «sono costituiti prevalentemente da anidride carbonica, arrivata in superficie come gas libero o disciolta negli acquiferi di questa area dell’Appennino». Questo significa però che non solo probabili e forti terremoti potrebbero essere causati da questa sorgente di magma, ma anche in futuro una possibile nuova nascita di un vulcano al centro-sud sarebbe da non escludere. «E’ da escludere che il magma che ha attraversato la crosta nella zona del Matese possa arrivare in superficie formando un vulcano», spiega Giovanni Chiodini, geochimico dell’INGV, che però poi ammette, «Tuttavia, se l’attuale processo di accumulo di magma nella crosta dovesse continuare non è da escludere che, alla scala dei tempi geologici (ossia migliaia di anni), si possa formare una struttura vulcanica». In conclusione, la parola “definitiva”, la mette Guido Ventura, vulcanologo dell`INGV, quando dice che il risultato raccolto da questa straordinaria scoperta «apre nuove strade alla identificazione delle zone di risalita del magma nelle catene montuose e mette in evidenza come tali intrusioni possano generare terremoti con magnitudo significativa. Lo studio della composizione degli acquiferi consente di evidenziarne anche l’anomalia termica».