Di fronte ai discepoli, che si allarmano per degli sconosciuti che usano il nome del loro maestro per compiere miracoli, Gesù si rivela come libero e disarmato, invitandoli ad andare oltre gli schieramenti e a riconoscere in quei miracoli il segno di una benevolenza del Padre. È da questa libertà interiore che il Papa prende le mosse per indicare — durante l’Angelus domenicale — un atteggiamento radicale, una posizione rivoluzionaria che è fondamentalmente distante dal cuore di tanti, ma che è decisiva per il cammino umano di ciascuno: l’apertura ultima del cuore a ciò che non è nostro, a ciò che non viene da noi, alle sorprese di Dio. 



La comunità cristiana in occidente è oggi pervasa da un nuovo settarismo, da un’incapacità ultima di cogliere e accogliere il bene che proviene dall’altro. È come se il dialogo fra cristiani fosse tutto costruito sulla ricerca dell’errore dell’altro, impugnando questa o quell’altra dottrina come dimostrazione di un’incoerenza, di un’eresia, che non può che essere condannata con l’esclusione dalla comunità e dal nugolo di coloro che sono credibili.



Il fatto è che quest’atteggiamento non proviene da un difetto di sistema insito al cristianesimo, bensì da un’umanità non ancora del tutto educata, da un’ultima resistenza al dono della fede. Infatti ogni chiusura nasconde una paura, la paura di perdere qualcosa, di essere espropriati di qualcosa che avvertiamo come nostro, senza del quale ci sentiamo persi, irriconoscibili. La radice definitiva di tutto questo è l’accidia, l’antico vizio capitale con cui gli uomini restano fermi, non accettano di fare un cammino, considerando ciò che possiedono più importante di ciò che amano.



La libertà interiore di cui parla Francesco è quindi una integrale povertà di spirito che nasce dalla consapevolezza che niente è nostro, ma che tutto è stato ricevuto e potrebbe scomparire. È per questo che il Papa, nello stesso Angelus, può pregare e mostrare vicinanza agli indonesiani che in queste ore, nell’indifferenza collettiva, subiscono un grave lutto a causa di calamità naturali: perché non esiste contraddizioni tra la povertà che il Vangelo richiede e la consapevolezza che ogni nostra ricchezza, apparentemente sottrattaci, sarà ridata, ridonata. 

Il Papa chiede alla Chiesa di entrare nella logica della croce: disponibili a dare la vita — tutto ciò che è nostro e che è vivo — nella consapevolezza che tutto ci sarà misteriosamente restituito, nella consapevolezza che è la Misericordia l’ultima parola sull’esistenza. Una parola per la quale non ci sono scuse: tutto ciò che si difende è infatti, alla luce di ciò, il residuo — magari duro a morire — di un potere, di un possesso, che inaridisce la vita e condanna l’uomo all’insoddisfazione, ad un continuo e rancoroso risentimento che trasforma tutto in lamento, mortifica il desiderio e allontana ogni possibile gusto del vivere.

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