Genova due giorni dopo. Una mattina assonnata e silenziosa. In piazza De Ferrari la gente cammina inseguendo i propri pensieri e dalla parte del teatro Carlo Felice echeggia il vociare di un folto gruppo di studenti in attesa di entrare per ascoltare la testimonianza della senatrice Liliana Segre. La  manifestazione di protesta degli sfollati e di tutti quelli che hanno problemi dopo il crollo del ponte Morandi sembra già un ricordo. Proprio qui tanta gente ha manifestato la preoccupazione che il crollo possa cancellare il proprio futuro. Il mugugno, come si dice da queste parti, e il malcontento covano sotto l’apparente tranquillità di una mattina di sole della Superba. Basta andare in periferia, sulle strade di accesso, dal Levante, dalla val Bisagno per vedere però come sia faticoso entrare in città. Per non parlare delle strade dalla Val Polcevera verso i caselli di Genova Pegli e Genova aeroporto. 



Non bisogna però sbagliare orari. Se c’è bisogno di andare a Ponente il percorso è off limits dopo le 7 di mattina e di sera, ma già dalle 20.30 la situazione torna normale. A Genova ora ci si sveglia con un’ora in anticipo e ci sono due città che convivono. Il centro da Brignole a Principe che tira innanzi come sempre. Ma alla fine della sopraelevata, all’altezza del matitone, il palazzo dalla forma particolare che troneggia all’altezza del casello di Genova ovest, cominciano i problemi. È un’area che bisogna evitare, se non si vuole restare imbottigliati. Ed ecco che le attività languono, tanto che al centro commerciale La Fiumara, alla foce del Polcevera, tra agosto e settembre tutti gli esercizi hanno visto ridurre gli incassi di parecchio. E non sono rose e fiori neppure per l’Ikea, poco distante dalla zona rossa. 



Il problema più grave però è in Val Polcevera, praticamente isolata dalla città, in quanto il ponte mancante la taglia verticalmente in due al suo sfociare sul piano davanti al mare. Il traffico privato è ancora inibito e tutte le strade sono ancora chiuse, eccetto la A7 entrando a Bolzaneto che ora è spesso intasata e funge da strada urbana. È anche in funzione la metro verso Principe e Brignole e dal 4 ottobre è riaperta la linea ferroviaria che passa sotto il ponte in direzione Ponente. A chi vuol trasportare qualcosa rimane via Borzoli; è l’unica strada agibile, tutta curve, che si inerpica sulla collina e scende a Sanpierdarena, ma è impercorribile  già alle 6 del mattino. 



L’altro ieri i manifestanti hanno chiesto proprio la riapertura della viabilità verso la valle e a rischio sono tutte le aziende e gli esercizi. Come non dar loro ragione, con tutte le incertezze dei primi due mesi dopo il crollo. Tutti hanno paura che l’iter si incarti, come nella maggior parte delle ricostruzioni italiane. Qui a Genova, quello che manca è proprio il tempo. Quel tempo che serve per completare la continuazione della sopraelevata verso ponente. Lungomare Canepa e via Guido Rossa che collegano il casello di Genova ovest a quello dell’aeroporto erano già in progetto da anni perché il traffico qui non è poca cosa, ma ora si spera che il cavalcavia che porterebbe le auto allo svincolo, previsto per marzo, sia già pronto a dicembre. 

Ci spera il sindaco Bucci, che con il suo piglio da manager vorrebbe ricostruire il ponte in meno di due anni. Una bella scommessa per una città che verso Savona e stata costruita in modo caotico nel corso dell’800 e del 900, tra aree urbanizzate, strutture industriali del ferro e del carbone, banchine e infrastrutture varie, senza pensare a una viabilità adeguata alle persone e alle merci. Fu la costruzione dell’autostrada negli anni Sessanta a raddoppiare la viabilità in aggiunta alla sempiterna statale n. 1 “Aurelia”. E il ponte Morandi, costruito sulle case, rappresentava una liberazione. Ma quanta violenza è stata fatta a un territorio inurbato senza un progetto, che vede il lungo porto costiero spezzato in due. In mezzo c’è l’aeroporto Colombo strappato al mare, che ha costretto alla realizzazione delle banchine di Voltri, le ultime in ordine di apparizione. Le immagini del satellite rivelano che nella realizzazione di questa grande area industriale portuale, nessuno a partire dagli anni Sessanta ha mai pensato a una vera viabilità per la vita delle persone e il trasporto delle merci. 

Ora senza il ponte il re è nudo. Le proteste degli sfollati, dei negozianti della zona ovest e degli abitanti della Val Polcevera sono sacrosante, ma non saranno sufficienti a rimediare a decenni di approssimazione e rinvii. La Gronda di Ponente, l’anello autostradale cha a monte dovrebbe collegare Genova ovest sino all’A10 oltre l’area urbana muove i primi passi, ma ci vorranno anni e anni prima che porti benefici. Il terzo valico bloccato dai nuovi puri e dai sacerdoti dell’onestà, indispensabile per creare strutture retroportuali lontane dalle banchine, chissà se verrà mai finito. E’ vero che ci vuole cuore per scrivere i decreti, come ha ribadito il ministro Danilo Toninelli, ma forse anche una dose di razionalità e pragmaticità non guasterebbe.