Per anni gli abitanti di Arcene, in provincia di Bergamo, si sono chiesti in che modo Pio Giuseppe Previtali, muratore a cottimo, fosse riuscito a permettersi di andare in giro con una Ferrari e di vivere in una villa. A svelare l’arcano ci ha pensato il Tribunale che ha confermato come prima della sua morte avvenuta nel 2007, l’uomo, amministratore di tre imprese, fosse riuscito a truffare lo Stato arrivando a collezionare un giro di affari da 97 miliardi di vecchie lire. Tra il ’91 ed il ’98 aveva deciso di metterne al sicuro una parte a Lugano, in Svizzera. Si tratta di un bel “gruzzoletto” da 9 milioni di euro ora sottoposto a sequestro preventivo ai fini della confisca, ottenuto dal pm Nicola Preteroti. Dopo il decesso dell’uomo, è stata la vedova Carmen Testa a finire nei guai nell’ambito di un caso unico nel suo genere. Ora però, come spiega Corriere.it nel rivelare gli ultimi aggiornamenti sulla vicenda, la difesa della donna intende ribaltare la tesi della procura: “Siamo convinti delle nostre argomentazioni e in parte soddisfatti del risultato al Riesame. Sulla Cassazione stiamo valutando”, ha commentato l’avvocato Casartelli. Al lavoro da tempo ci sarebbe anche la Guardia di Finanza, convinta – anche grazie ad una serie di intercettazioni – che la donna sapesse bene il giro d’affari del marito.



OPERAIA INCASTRATA DA INTERCETTAZIONI

Ad incastrare Carmen Testa ci sarebbero una serie di intercettazioni risalenti ai mesi scorsi. Parlando con il compagno Rodolfo Arpa – ex carabiniere del Ros finito nello scandalo delle operazioni antidroga manipolate – la vedova di Previtali lo scorso 30 maggio diceva: “Hanno provato la sua disonestà, però il malloppo non l’hanno trovato”. In merito ai soldi in Svizzera, la donna avrebbe ricevuto dal suo avvocato un suggerimento che ha rivelato ad Arpa, nel corso della medesima intercettazione telefonica: “Ma no, diciamo che lei li ha avuti in regalo anni fa… glieli ha regalati suo marito anni fa, basta”. Ancor prima dell’interrogatorio dello scorso giugno al cospetto del pm, la Testa parlando ancora al telefono con Arpa manifestava un certo timore in merito all’indagine in corso, “proprio per quanto riguardava l’aspetto della provenienza della somma oggetto di voluntary”, come spiegato dal gip. Da altre intercettazioni sarebbe emersa la piena complicità sul caso con il marito, prima del suo decesso, per non parlare del ritrovamento di alcuni documenti sulle società coinvolte nella bancarotta che le fiamme gialle avrebbero rinvenuto ben nascosti in casa della madre di Testa. Posto rivelato da quest’ultima alla figlia lo scorso giugno, nonostante il sospetto di essere intercettata. Per il Riesame, dunque, la donna non solo sapeva ma, essendo in teoria una semplice operaia, non avrebbe mai potuto metter da parte tutti quei soldi che, secondo i calcoli della Finanza, ammonterebbero a 9 milioni di euro.

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