In quali condizioni è possibile trovare soluzioni positive e costruttive per tutti? Deve essere questa la domanda bypassata dagli ideatori del manifesto promosso dalle associazioni ProVita e Generazione Famiglia contro l’utero in affitto. Nell’immagine, finita al centro di tante polemiche, si vedono due uomini con un bambino — tatuato di codice a barre — in un carrello, il tutto accompagnato dall’emblematica scritta “Due uomini non fanno una madre”.
Nell’immagine e nel messaggio c’è una verità, una semplice e banale verità: per quanto la giurisprudenza e il legislatore vogliano riconoscere diritti alle coppie omosessuali, niente potrà sostituire il dato biologico e affettivo della maternità. Il punto, però, è proprio qui: quali sono le condizioni migliori perché questo giudizio elementare sia riconosciuto come vero? Agli occhi degli estensori del manifesto sembra sia chiaro che è la lotta, il conflitto, l’unico luogo dove la verità possa emergere ed essere riconosciuta. Si potrebbe obiettare che tale lotta è stata iniziata da tutte quelle organizzazioni Lgbt che in questi anni hanno orchestrato campagne ad hoc, ispirate a singoli casi divenuti “bandiera” della causa. Anche su questo niente da eccepire, ma — ripeterlo non fa male — quali sono le condizioni migliori in cui un dato di realtà può essere affermato e riconosciuto come vero?
Tutta la fatica di questo strano tempo non sta nel combattere una qualunque guerra, ma nel porre le premesse perché gli uomini e le donne di buona volontà si possano incontrare, perché i desideri e le risposte di tutti possano germogliare in un rapporto, in una relazione che strappi dall’individualismo e offra una risposta alle domande più vere sul destino e sulla vita. Come si fa a vivere oggi, nel mondo di oggi? Come si fa a riscoprire la verità in un tempo in cui tutto sembra negarla? Occorre riaprire uno spazio paziente di incontro, di libertà, di amicizia, di cammino. Uno spazio che è molto più ampio dei sei metri per tre di un manifesto, uno spazio dove tornare a guardarsi e a dire “Io” con verità.