C’è chi ha parlato di colpo di mano politico, di una governance che cambia aspetto. Sicuramente c’è un’inversione di tendenza nella futura gestione del post-terremoto nelle regioni del Centro Italia. Una decisione presa all’interno del decreto Genova, una decisione che vuole fare passi decisivi verso la ricostruzione, dopo mesi passati nell’incertezza, dopo numerose e continue forme di protesta da parte dei residenti che, ancora oggi, chiedono, fanno domande e troppo spesso non trovano risposte. Essendo una decisione assunta dalla maggioranza penta-leghista ecco che i presidenti delle Regioni interessate, Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo, tutti politicamente all’opposizione, insorgono denunciando scelte più politiche che razionali. Decisioni che vogliono esautorare un processo politico legato alle Regioni, incarnato dal centro-sinistra, criticato da chi ancora oggi si trova in autonoma sistemazione, oppure nelle casette provvisorie. Cittadini che vedono le loro pratiche di ricostruzione spesso ferme nei cassetti delle burocrazie comunali, che chiedono di velocizzare i processi amministrativi e che forse oggi sperano, al di là delle scelte politiche, che le decisioni prese dentro il decreto Genova possano migliorare la loro situazione.
“La maggioranza di Governo questa notte nella conversione del decreto relativo alla ricostruzione del ponte Morandi a Genova con un colpo di mano ha tolto ai presidenti delle Regioni, sub-commissari al terremoto, il potere di condivisione sulle ordinanze commissariali, declassando la loro funzione a potere consultivo”. Questa la denuncia, assunta in una nota congiunta, dai presidenti della Regione Marche, Luca Ceriscioli, Abruzzo, Giovanni Lolli, Umbria, Catiuscia Marini e Lazio, Nicola Zingaretti. “Mentre per Genova si nomina commissario il sindaco della città, per il terremoto —– proseguono — si esautorano i presidenti e i sindaci dei territori, perché di fatto questa impostazione riduce a livello di osservatori anche i sindaci dei Comuni del cratere che oggi si esprimono nei comitati della ricostruzione sulle ordinanze in essere. Questa svolta centralista del Governo è grave e miope, perché moltissime scelte della ricostruzione impattano direttamente con norme e leggi di carattere regionale”.
Probabilmente la scelta di Piero Farabollini, un tecnico, geologo, che insegna all’Università di Camerino, zona terremotata, non è sufficiente a dare garanzie a chi attraverso la politica vuole far vedere che si riesce a far rinascere il territorio. Sicuramente un tentativo che tanti frutti in questi ultimi due anni non ha reso visibili.
La risposta ai governatori di centro-sinistra arriva dal Movimento 5 Stelle e dalla Lega, i cui esponenti sottolineano di aver ascoltato i cittadini terremotati prima ancora dei politici che vivono nelle zone terremotate. “Abbiamo fatto nostre le istanze che giungevano dalle comunità colpite dal terremoto del Centro Italia, da sindaci, presidenti di Regione e cittadini. E stiamo lavorando in commissione per inserirle nel decreto emergenze e sbloccare finalmente la ricostruzione ferma da due anni”, hanno sottolineato i deputati Patrizia Terzoni del Movimento 5 Stelle e Tullio Patassini della Lega, cofirmatari degli emendamenti agli articoli del decreto Genova che abroga l’obbligo per il commissario di avere l’intesa con il governatori per emanare le ordinanze.
“Abbiamo innanzitutto reso più snella e veloce l’operatività del commissario alla ricostruzione — hanno aggiunto — che dovrà ‘sentire’ i presidenti delle Regioni coinvolte senza la necessità, prevista finora, di un’intesa. Una fluidificazione di cui da più parti si sentiva la necessità e che non toglie ai presidenti di Regione la possibilità di rendersi protagonisti del processo attraverso un dialogo costante e costruttivo con il commissario. Apprendere che invece i governatori si ritirano dal confronto e disertano l’incontro previsto in giornata con il commissario ci fa pensare che la loro posizione sia strumentale e sintomatica della non volontà di collaborare con il Governo”.
Difficile dire subito quali saranno i risvolti del futuro; facile immaginare che saranno gli stessi cittadini che vogliono tornare a vivere nei loro paesi, i principali osservatori e critici di tutto quello che da oggi in poi accadrà sui loro territori. C’è chi dice che peggio di così non si poteva continuare e che tutto quello che arriverà sarà meglio. Di certo in situazioni in questo genere i muri della politica dovrebbero essere inesistenti o perlomeno abbattuti affinché chi soffre, chi nutre speranze, chi vuole una rinascita dei territori, delle coscienze e umana possa vedere unità di intenti per raggiungere gli obiettivi.