I manifesti di ProVita e di altre associazioni cattoliche da mesi hanno scatenato nella città di Roma (e non solo) polemiche, divisioni e dibattiti nel merito delle battaglie portate avanti: prima contro l’aborto, ora contro l’utero in affitto e quella “maternità surrogata” dall’opinione pubblica spesso esaltata e richiesta senza considerare conseguenze, problematiche e difficoltà che una norma del genere provocherebbe nella società civile (al momento, lo ricordiamo, l’utero in affitto è fuori legge nei nostri confini). Ebbene, dopo le forti critiche di larga parte dell’opinione pubblica e mediatica romana, il sindaco Virginia Raggi ha ordinato nei giorni scorsi di far rimuovere tutte le pubblicità e i manifesti di ProVita con tanto di multa da 20mila euro al giorno (400€ a cartellone) e oscuramento di tutte le 50 affissioni. Nello spot si legge «due uomini non fanno una madre» con l’immagine di un bimbo che piange in carrello, con tanto di codice a barre tatuato sul petto, davanti ad una coppia gay che lo spinge. La foto choc ovviamente ha fatto discutere e il primo cittadino M5s ha tuonato «il messaggio e l’immagine veicolati dal cartellone – mai autorizzato da Roma Capitale e dal Dipartimento di competenza – violano le prescrizioni previste dal regolamento in materia di pubbliche affissioni, che vieta espressamente esposizioni pubblicitarie dal contenuto lesivo del rispetto di diritti e libertà individuali. La strumentalizzazione di un bambino e di una coppia omosessuale nell’immagine offendono tutti i cittadini».



PROVITA: “MULTATI PER DENUNCIA UTERO IN AFFITTO, GOVERNO DEL TERRORE”

Plauso dai media, dai circoli LGBT e da diverse associazioni culturali sinistrorse: ma la replica di ProVita è netta e durissima, accusando il Governo della città di «terrore» e «tirannia»: «Con la solita scusa della strumentalizzazione dei bambini, la nuova tiranna del politicamente corretto, Virginia Raggi, ha calato la sua scure contro la libertà di espressione», spiegano gli ideatori della campagna, Toni Brandi di Pro vita e Jacopo Coghe di Generazione famiglia. «Con il Comune di Roma a 5 stelle si torna a governare col terrore. Noi chiediamo liberi manifesti in libero Comune», avanzano ancora nella loro denuncia pubblica; motivo ulteriore della critica sull’atteggiamento della Raggi non è solo la rimozione ma il fatto di aver “ceduto” alle rimostranze del “Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli”, il cui presidente «ha dichiarato candidamente di aver fatto quello che sa fare meglio, ossia dare fastidio alla politica tartassandola e riuscendo a parlare con l’ufficio della sindaca, ottenendo dopo sole 24 ore di pressing il comunicato in cui lei si impegnava alla rimozione. Sono parole sue», spiegano ancora da ProVita. La situazione è più “in tensione” di quanto si creda, se si aggiunge che il solo aver dato la propria approvazione alla campagna ha provocato all’assessore regionale del Veneto, Elena Donazzan (Forza Italia) minacce di morte e insulti per l’adesione alla campagna «#stoputeroinaffitto». La politica veneta ha commentato, «Faccio politica da sempre, detesto il turpiloquio, ma di che razza di dialettica e argomentazioni stiamo parlando quando il dissenso nei confronti di una persona si trasforma in minacce di morte per chi difende la vita dal suo inizio? Sarebbero questi i sostenitori dell’utero in affitto? Le ronde degli haters con la tastiera in braccio?».

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