Era la notte tra il 15 e il 16 ottobre del 1943: la Gestapo prelevo dal ghetto ebraico di Roma più di 1000 persone, deportandole nei campi di concentramento. A fare ritorno, ad orrore concluso, furono soltanto in sedici: tra loro anche Lello Di Segni, ultimo sopravvissuto fino a stanotte, quando è salito al cielo all’età di 92 anni. Qualche tempo fa, intervistato da Il Fatto Quotidiano, descrisse con dovizia di dettagli il rastrellamento del ghetto dal suo punto di vista:”Eravamo tutti e sei in casa: io, mio padre, mia madre e tre fratelli: Angelo, Mario e Graziella. Quasi all’alba sono arrivati, si sono presentati e con una lista di nomi hanno iniziato a perlustrare le stanze, convinti che nascondessimo qualcuno. Dentro gli armadi, in soffitta, in cantina. Niente. C’eravamo solo noi, gli altri parenti erano scappati le settimane precedenti. Poi con il mitra dietro la schiena siamo scesi in strada e saliti sui camion”. Un racconto dell’orrore, che sarà dovere della collettività custodire, anche e soprattutto dopo la scomparsa dell’ultimo sopravvissuto del ghetto di Roma. (agg. di Dario D’Angelo)
LILIANA SEGRE, “TEMO SPARISCA MEMORIA”
Usa parole durissime la senatrice a vita Liliana Segre – anche lei scampata alla barbarie nazifascista durante la Seconda Guerra Mondiale – dopo la triste notizia della scomparsa di Lello Di Segni: «Man mano che spariscono le persone temiamo solo che sparisca la memoria». Lo ha detto arrivando al liceo magistrale Castani questa mattina (fonte Ansa), provando a raccontare ai ragazzi chi era quell’unico e ultimo testimone del ghetto romano. «È rivolgendoci agli studenti e soprattutto agli insegnanti che si può avere una speranza che tutto quello che è successo nel Novecento, per la colpa di essere nati, non diventi solo una riga di un libro di storia e poi nemmeno più quella», conclude la Segre. Anche dal mondo cattolico giungono diverse condoglianze per la morte di Di Segni, con la Comunità di Sant’Egidio che si stringe attorno alla famiglia: «La sua morte ci invita ad assumerci sempre più questa memoria e a trasmetterla alle giovani generazioni: aiuterà a costruire un futuro di pace contro ogni forma di antisemitismo, razzismo e discriminazione», spiega Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio.
LELLO DI SEGNI, MORTO L’ULTIMO SOPRAVVISSUTO DEL GHETTO DI ROMA
Era l’ultimo sopravvissuto alla ignobile deportazione dal ghetto ebraico di Roma nel 16 ottobre 1943: oggi è salito al cielo Lello Di Segni, memoria storica e umana di quanto quegli anni hanno segnato per sempre la vita e la storia del nostro Paese. Un passato di terrore raccontato per tenere desta la memoria sull’oggi, non disdegnando quel sorriso ironico e malinconico di chi ha visto di tutto nella propria vita ma non te lo fa “pesare”: ne dà notizia la Comunità Ebraica di Roma con un post social in cui annuncia «È scomparso nella notte Lello Di Segni, l’ultimo sopravvissuto alla deportazione del 16 ottobre 1943». Commossa e triste per la notizia, la Presidente della Comunità Ruth Dureghello rilascia poche parole «Con lui viene a mancare la memoria storica di chi ha subito la razzia del 16 ottobre tornando per raccontarcela. Alla sua famiglia l’abbraccio della Comunità». La perdita di un uomo del genere, di un testimone del suo calibro, è davvero una perdita per tutti al di là di ogni retorica e banalità purtroppo molto “facili” in circostanze del genere: secondo la Dureghello, «La sua sua perdita, oltrechè essere un dolore per la nostra comunità, è purtroppo un segnale di attenzione e un monito verso le generazioni future».
LA DEPORTAZIONE DEL 16 OTTOBRE 1943
Lello Di Segni nacque il 4 novembre 1926 a Roma, dove visse per l’intera giovinezza fino all’avvento delle leggi razziali e del pericolo nazi-fascismo: venne arrestato nell’autunno del 1943, a soli 17 anni, assieme alla sua famiglia e deportato come tantissimi suoi sventurati fratelli nel campo di concentramento (anzi, di morte) ad Auschwitz-Birkenau. In una intervista recente, fu lo stesso Lello a raccontare ai più giovani cosa potevano essere quei tempi per un giovanissimo che si affacciava alla vita nell’ombra tra le più oscure della storia umana: «Il primo ricordo e’ lo spavento di quando aprii la porta. C’erano due tedeschi in divisa. Non parlavano italiano, ma a gesti si fecero capire molto bene», racconta Di Segni nel merito del rastrellamento “finale” dal ghetto romano: «Mi sono salvato solo perche’ ho lavorato tanto. Facevo tutto quello che mi dicevano i tedeschi, anche se non volevo. Ma avevo troppa paura che mi massacrassero di botte. Era l’unico modo per andare avanti», riporta l’Ansa. Due anni di incubo e poi la liberazione nel 1945, con conseguente ritorno nella Capitale mezza distrutta: «In questi anni ho cercato di dimenticare, ma non ce l’ho fatta. Oggi ricordo con dolore e sacrificio, pero’ so’ libero adesso. E sono contento se una mostra come questa fa sapere alla gente quello che abbiamo passato e fa capire che sono cose che non vanno dimenticate», conclude con le lacrime Lello Di Segni.