Non sempre le sbarre delle prigioni accolgono al loro interno dei malviventi. Sovente, probabilmente troppo spesso, si tratta semplicemente di presunti tali. A rigor di legge, non ci dovrebbero essere troppi fraintendimenti. I criteri per presumere la colpevolezza di un individuo sono talmente precisi da non poter dare adito a carcerazioni preventive illecite. Almeno, in linea teorica; tanto più che il nostro ordinamento è incardinato su alcuni principi di fondo connaturai alla natura stessa dei regimi democratici, quali la presunzione di innocenza, la condanna ove si ravvisi la colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio, il valore della libertà individuale e il ricorso alla sua privazione in casi rari ed eccezionali. Abbiamo parlato di tutto ciò con Carlo Federico Grosso.
Anzitutto, a suo avviso i presupposti per applicare la custodia cautelare in carcere siano sempre rispettati?
Occorrerebbe valutare caso per caso. La custodia cautelare, come tutte le restrizioni della libertà personale disposte nel corso delle indagini, hanno la funzione di assicurare che non si verifichino alcune distorsioni; la nostra legge subordina la custodia cautelare a dei requisiti molto precisi. Da un lato vi devono essere gravi indizi di colpevolezza assolutamente concordanti; il provvedimento, in presenza di questi gravi indizi deve essere assunto per prevenire il pericolo di inquinamento delle prove, di fuga e di reiterazione del reato. Si vuole evitare che inquinando le prove l’indiziato intralci l’accertamento dei fatti; che scappando si sottragga alla giustizia; e che possa rappresentare un pericolo per la collettività reiterando il reato. La disciplina, di per sé, è ragionevole e lo scopo dell’istituto è preciso; se le regole sono rispettate con attenzione non dovrebbero verificarsi, in concreto, degli abusi.
Ci sono dei reati per i quali è preferibile applicarla?
Sono dell’idea che la misura di custodia cautelare in carcere dovrebbe essere legittimata esclusivamente laddove ci si trovi in presenza di reati connotati da una certa gravità.
Crede che alcune misure di custodia andrebbero privilegiate rispetto al carcere?
Già adesso la misura cautelare è articolata secondo un principio di gradualità; oltre alla custodia in carcere, sono previsti gli arresti domiciliari o misure più leggere, come l’obbligo di non allontanarsi da un comune o non entrare in certe zone del Paese.
Trova, in ogni caso, che la legge, di per sé, manifesti delle particolari criticità?
Non credo che sia necessario modificare la disciplina; l’importante è che la magistratura sia sempre consapevole del fatto che la custodia cautelare deve sempre rappresentare un’eccezione e che la legge in materia deve essere applicata nella misura più circoscritta possibile. La limitazione della libertà personale deve essere attuata prestando la massima attenzione a non violare il diritto alla libertà dei cittadini e nella prospettiva della presunzione di innocenza di cui ogni soggetto deve godere.
A proposito: molti affermano che tale principio sia ignorato dall’opinione pubblica al punto che è sufficiente un’indagine perché a livello collettivo sia emesso un verdetto di colpevolezza.
Il problema, evidentemente esiste. Ma la nostra Costituzione prevede il principio della presunzione di innocenza quale uno dei cardini della giustizia italiana. Fino a quando l’indagato non è soggetto ad una sentenza definitiva passata in giudicato, deve essere considerato innocente in via presuntiva.
Secondo lei il principio della presunzione di innocenza vale anche nei casi di prescrizione? Ovvero, laddove il reato sia stato prescritto, ma l’imputato non sia stato condannato in via definitiva, va ritenuto innocente?
Se non c’è una sentenza di condanna passata in giudicato, la presunzione d’innocenza vale. Poi, ciascuno potrà fare le proprie valutazioni, dato che l’imputato, benché il reato sia prescritto, potrebbe rinunciare alla prescrizione.
(P.N.)