“Il fatto che il Parlamento non sia ancora intervenuto per adempiere ai moniti che da varie parti giungono sulla questione carceri è assai grave. Ritengo quindi normale che la Consulta preannunci forme di intervento dirette a modificare la legge”. A sottolinearlo è Fernanda Contri, giurista e magistrato, giudice costituzionale dal 1996 al 2005 e ministro per gli Affari sociali tra il 1993 e il 1994. Con un comunicato, la Corte costituzionale è intervenuta sulla questione carceri, facendo sapere che se il Parlamento non prenderà provvedimenti come richiesto esplicitamente dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, potrebbe dichiarare incostituzionale la legge vigente.
Giudice Contri, partiamo da quanto affermato dalla Corte costituzionale …
In primo luogo la sentenza della Consulta non c’è ancora. Nel suo comunicato, la Corte costituzionale ha ritenuto inammissibili le questioni che le sono state sottoposte, e ha valutato di non potersi sostituire “al legislatore, essendo possibile una pluralità di soluzioni al grave problema sollevato dai rimettenti, cui lo stesso legislatore dovrà porre rimedio nel più breve tempo possibile”. La Consulta ha però fatto sapere che, in caso di “inerzia legislativa” sul sovraffollamento carcerario, si riserverà “di adottare le necessarie decisioni dirette a far cessare l’esecuzione della pena in condizioni contrarie al senso di umanità”.
Qual è il legame tra il messaggio di Napolitano alle Camere e il comunicato della Consulta?
Se non ci fosse stato il messaggio del presidente della Repubblica al Parlamento, la Consulta forse non avrebbe diffuso il comunicato. Tenuto quindi conto del messaggio al Parlamento e della sua importanza, la Corte ha reso noto che potrebbe essere sul punto di affermare che l’attuale stato di cose è contrario alla Costituzione. Siccome esistono diverse possibilità di scegliere tra eventuali nuove normative, e la Corte costituzionale non può e non vuole sostituirsi al legislatore, manda un messaggio al Parlamento per avvertirlo del fatto che potrebbe dichiarare l’incostituzionalità della legge. Si potrebbe ingenerare un vuoto normativo, che per certi versi sarebbe ancora peggio. La Consulta sollecita quindi il Parlamento a legiferare per risolvere il problema carceri, ma soprattutto a farlo presto. In caso di inerzia legislativa la Corte potrebbe infatti essere costretta a intervenire.
La Corte si limiterebbe a dichiarare incostituzionale la legge vigente o ne introdurrebbe una nuova?



La Consulta può e deve pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di una legge: questo è il suo compito, badando di non sostituirsi al legislatore, anche se in qualche caso le sue decisioni possono sembrare sostitutive per colmare un vuoto normativo.
Lei che cosa ne pensa di questa scelta di sostituirsi, sia pure temporaneamente, al legislatore?
Il comunicato della Corte costituzionale parla chiaro. Allo stato delle cose non si sostituisce, anzi afferma di non volere interferire con le competenze del Parlamento, dal momento che ci sono più opzioni tra le quali il potere legislativo può scegliere. Se però i giudici costituzionali ritenessero talmente grave il vulnus portato all’ordinamento costituzionale, come preannunciato nel comunicato, e ciò in caso di vuoto normativo, reso obbligato da norme violentemente e profondamente incostituzionali, la Corte potrebbe e dovrebbe intervenire.
Se questa ipotesi si verificasse, sarebbe un intervento legittimo?
Certamente. La violazione dell’ordinamento costituzionale è così forte, violenta e snaturante, che a quel punto la Corte costituzionale dovrebbe intervenire per forza, anche al costo di lasciare un vuoto normativo o qualcosa che gli assomiglia molto. Quando negli anni ‘70 svolgevo le mie funzioni di avvocato, se una questione veniva portata alla Corte costituzionale e quest’ultima si esprimeva con un monito, in genere molto più blando, il Parlamento ne teneva conto. Dalla fine degli anni ‘90 è invalsa l’abitudine da parte del legislatore di fare sovente “orecchie da mercante”, e da un punto di vista istituzionale ciò è assai grave.
 



 

(Pietro Vernizzi)

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