(di Michele Groppi) All’indomani di stragi jihadiste come quelle di Parigi, Londra, Berlino e Stoccolma, un brivido corre lungo la schiena di molti italiani: quando sarà il nostro turno? Se è successo nel cuore dell’Europa, può il Califfato attaccare anche Roma o Milano? Quanto è reale il rischio di essere noi i prossimi? 



A prima vista, la valutazione del rischio sembra essere rassicurante. Sebbene Al Qaeda ed altri gruppi terroristi siano stati presenti in Italia, il nostro paese è stato principalmente utilizzato come base logistica per orchestrare attacchi in terra straniera. Non a caso, nessun attentato di stampo jihadista ha, per ora, colpito Roma o Milano. I musulmani italiani sono stati quasi unanimi nella loro condanna del terrorismo. E il nostro impegno marginale nella lotta contro l’ISIS, in aggiunta ad ulteriori considerazioni strategiche, ci ha forse tenuto maggiormente al sicuro rispetto ad altre realtà continentali.



Infatti, solo 122 combattenti sono partiti alla vota di Siria e Iraq, mentre dalla Francia ne sono partiti 1.300, e da Regno Unito e Germania quasi 1.000. Seppur l’Italia non sia a rischio come appunto Francia, Inghilterra, Germania, il Bel Paese non può tuttavia permettersi di dormire sogni tranquilli. 

Come illustrato in un articolo sulla rivista americana di West Point, il Sentinel del Combating Terrorism Center, l’attività jihadista nel nostro paese è decennale. Abbiamo esportato combattenti in vari teatri di Jihad prima della venuta dell’ISIS. Abbiamo ospitato una serie di predicatori radicali che hanno incitano alla violenza e all’odio religioso verso cristiani ed ebrei. Ma, soprattutto, contiamo più di 20 casi di natura jihadista, inclusi attacchi minori e piani di stragi a Roma, Milano, Brescia, Napoli, e Bologna. 



Al Nord, in particolare tra la Lombardia e il Veneto, le autorità hanno smantellato cellule legate all’ISIS volte al reclutamento di combattenti, attività di proselitismo e pianificazione di attacchi contro il Vaticano, Ponte di Rialto a Venezia e altri obiettivi sensibili. 

In un sondaggio effettuato per una ricerca universitaria, il 30% dei musulmani esaminati ha sostenuto la violenza in nome di Dio. Se, inoltre, consideriamo la crescente tensione sociale legata ai flussi migratori e alla conseguente ghettizzazione della comunità islamica in certi quartieri di Milano, Roma e Torino, non è troppo inimmaginabile che il nostro paese diventi la prossima Francia nel giro di qualche decennio.

Sentimenti islamofobici, esacerbati da mancate aspettative sociali di inclusione, potrebbero favorire vittimismo, terreno fertile per reclutatori jihadisti. E’ necessario, perciò, onde evitare di divenire la prossima Francia, un impegno di tutti i settori della società civile, incluse le istituzioni e la comunità islamica, volte all’integrazione e alla conoscenza reciproca basata sul rispetto dell’identità personale, nonché della sacralità della vita e del ruolo di ogni persona nell’Italia multiculturale del futuro.