È indubbio che i fenomeni meteorologici stiano cambiando; il climate change è un dato di fatto. Quanta acqua arriva e in quanto tempo resta, però, un dato che non possiamo modificare, da sempre. Dobbiamo, quindi, attivarci perché gli eventi meteorologici (ma la logica è simile anche per il sisma) non mettano in crisi le nostre opere e la vita dell’uomo. Come fare?
La risposta ha una premessa: la natura è più forte. Il suolo è sempre stato modificato dagli eventi, in particolare i grossi movimenti tettonici (che continuano a esserci e si manifestano con i terremoti) e l’erosione delle acque (amplificate nei fenomeni glaciali, durante le alluvioni, con le grandi frane). Su questo non possiamo farci proprio nulla, dobbiamo solo aumentare le conoscenze, attivare indicatori che ci aiutino a capire quando si sta avvicinando un evento di grandi dimensioni, avere la consapevolezza che le nostre opere hanno una durata molto limitata rispetto alle dinamiche naturali. Diamo per scontato che la Valtellina, ad esempio, sia sempre stata come la vediamo oggi. Invece, in realtà, stiamo “usando” la Valtellina — che ha una storia di milioni di anni, dove sono capitate frane mostruose, avanzamenti e regressioni dei ghiacci, alluvioni che nemmeno possiamo immaginare eccetera — da qualche centinaio di anni.
Siamo colpiti quando una strada costruita 30 anni fa viene completamente distrutta da una piena. I meteorologi ci dicono che era una piena che non si verificava da 40 anni. Certo, la strada non era probabilmente costruita nel migliore dei modi nei confronti del rischio idrogeologico, ma la sua distruzione ha una sua completa razionalità. Dovremmo dire al contrario che ha resistito per 30 anni alle piene! Stesso ragionamento per le costruzioni balneari distrutte dalle mareggiate di questi giorni: da quanto tempo sono lì, quante mareggiate equivalenti hanno affrontato, per quale forza di mareggiata sono state costruite?
Solo cento anni fa avevamo richieste nei confronti delle opere costruite e del territorio molto diverse e meno ambiziose delle attuali. Come, quindi, operare, costruire, modificare il territorio per vivere, per lavorare, per divertirsi, per fare quello che il nostro attuale modo di vita “richiede”? Penso che la risposta stia fondamentalmente in due fattori: una corretta progettazione e una continua manutenzione. Vale per ogni elemento modificato dall’uomo: edifici pubblici e privati, strade, grandi opere, aree di coltivazione, verde pubblico.
Le tecniche di progettazione sono molto migliorate negli ultimi anni, ma solo da pochi anni si è introdotto il concetto della “fine” di una costruzione. Ad esempio, il tunnel ferroviario del Brennero è progettato in modo che, se viene fatta la prevista manutenzione, possa durare 200 anni. Nessuna opera dell’uomo è eterna, ma ora (da pochi anni) cominciamo a capire che anche il calcestruzzo armato dura qualche decina di anni ( più di un centinaio se poco sollecitato e ben mantenuto) e poi… muore! E le nostre case, la mia casa, pagata con il mutuo? Anche lei… morirà.
Nella storia è sempre stato così; solo dal terremoto del Belice, e quasi solo in Italia, lo Stato interviene addirittura per la ricostruzione in caso di sisma. Prima terremoti e alluvioni hanno sempre distrutto e chi si ritrovava senza casa doveva arrangiarsi, ripartire da zero. In altri Stati è molto più utilizzato che non in Italia il meccanismo assicurativo sugli eventi naturali, che è una sorta di accantonamento economico per poter avere la forza di ricostruire quando capita il grande evento.
Tornando al modo di costruire, va però segnalato che ora abbiamo molta più cura dell’impatto ambientale (nel senso pieno del termine) rispetto a solo trent’anni fa. Basta vedere come sono stati costruiti i viadotti della BreBeMi quando superano il Serio e l’Oglio, rispetto agli altri ponti più datati. Si può costruire bene tenendo in massima cura gli aspetti ambientali. Certo, le logiche degli appalti “al massimo ribasso” non hanno aiutato in passato a realizzare opere qualitativamente valide. Inoltre i meccanismi legati alla corruzione e le infiltrazioni mafiose negli appalti hanno influito negativamente su tantissime realizzazioni di vario tipo.
L’altro elemento chiave è la manutenzione continua e programmata, e purtroppo quanto capitato al ponte Morandi ce lo sta insegnando. Manutenzione continua: sappiamo che ogni 6-8 anni dobbiamo cambiare l’automobile e per questo obiettivo accantoniamo denaro e spendiamo mediamente 20mila euro, ma quanti di noi accantonano e spendono 20mila euro ogni 6-8 anni per la manutenzione della propria casa? Nel pubblico vale assolutamente la stessa logica, salvo eccezioni.
Stanno cominciando ora le prime vere attività di manutenzione, da pochi anni si insegna a ingegneri e architetti il facility management. La logica della tecnologia Bim (Building information modeling) ci sta introducendo a considerare il costo di manutenzione negli anni di vita del fabbricato come un elemento fondamentale nell’aggiudicazione delle opere, in aggiunta, ma con pari importanza, al costo di costruzione. Quindi non più appaltare a chi costruisce con il prezzo più basso, ma a chi costruisce e mantiene l’opera per 20-30 anni con la minor richiesta economica. Per decenni ci siamo dimenticati, soprattutto nelle opere pubbliche, che non basta avere i soldi per costruire una scuola, una strada o altro, ma sono necessari, già dal primo anno di vita, i soldi per mantenere la costruzione.
La manutenzione è da eseguire anche sulle strade e sul verde pubblico e privato. A tutti spiace abbattere un albero e la nostra cultura ormai ha consolidato un rispetto nei loro confronti; gli alberi, però, soprattutto quelli stressati dall’ambiente urbano, non facilmente diventano centenari. Vanno quindi monitorati, classificati e, quando lo si ritiene corretto, eliminati e sostituiti con nuove essenze. E nonostante questo, quando capita il vento eccezionale, che non si verificava da almeno cento anni, tutte le piante che hanno meno di cento anni sono a rischio. Senza nemmeno considerare il valore di una vita persa per effetto della caduta di un albero, il banale costo assicurativo legato ai danni sui beni e sulle automobili per effetto di eventi di questo tipo è spesso di gran lunga superiore alle risorse che annualmente si mettono in campo, tra pubblico e privato, per mantenere il verde. Meglio investire di più in una buona manutenzione e in una più attenta progettazione, anche del verde.
Quanto detto è evidente e ha un riscontro: i danni per eventi meteo sono più alti proprio in quelle zone d’Italia dove progettazione e manutenzione sono mediamente più scarse.
Chiudo con una considerazione dettata dall’esperienza: in ogni caso, valutiamo bene se un’opera, una costruzione, è proprio necessaria o se con essa, da un certo punto di vista, vogliamo sfidare l’ambiente e la natura. Spesso è meglio un passo indietro, una strada in meno, qualche comodità in meno, ma nel rispetto delle leggi naturali.