I 120 anni della Società italiana di pediatria (1898-2018) obbligano a una riflessione sul ruolo del pediatra nella società attuale, ma soprattutto sul quadro dell’infanzia cambiato radicalmente nel frattempo. L’infanzia, infatti, è diventata un’estranea nella società italiana.

Un tempo i bambini erano padroni di strade e piazze, ora non sono più di casa, se non accompagnati; non giocano più, ma “vanno alle feste”, o in alternativa “fanno sport”, ma tutto sotto la supervisione dei grandi. Non possono nemmeno andare o tornare a scuola da soli. Insomma, hanno perso autonomia invece di aumentarla.



Allo stesso tempo, si è loro spalancato davanti un mondo in apparenza sconfinato, quello del web, che tra telefonini e social media li attira magneticamente, così magneticamente che il web è diventato una nuova baby-sitter, sostituendo la televisione, già spicciativa succedanea dei genitori, obbligati a non stare mai in casa dai ritmi di lavoro e dalle distanze del lavoro da casa, dal traffico e dagli impegni, ma anche da una mentalità che vede il figlio come un optional. I figli sono figli di genitori sempre più avanzati di età e sempre più soli: sono spariti i fratelli, i figli sono unici, e sono sparite di conseguenza le figure dei cugini e degli zii.



Allo stesso tempo sono, però, diminuiti tanti rischi per la salute, per un’azione accorta della pediatria preventiva: le vaccinazioni si sono diffuse, le visite pediatriche sono diventate la norma e il nostro Paese può vantare tra gli altri almeno due punti forti non frequenti all’estero: la figura del pediatra di famiglia, che altrove è esercitata dal medico che cura sia grandi che piccini, e la possibilità/diritto per i genitori di assistere in ospedale il figlio ricoverato senza improprie, innaturali e terrificanti separazioni durante l’ospedalizzazione. Le malattie infettive infantili, un tempo ad alta mortalità, ora sono diventate più curabili e meno preoccupanti; e la nascita di bambini prematuri trova oggi i neonatologi in grado di prendersi carico di neonati sempre più piccoli, senza banalizzare i rischi della prematurità, e senza allarmismi eccessivi.



Insomma, il quadro della pediatria italiana è un quadro soddisfacente e positivo, in un ambito sociale che invece vede il bambino come un estraneo sociale, un ambito che un tempo era per necessità a misura di bambino, ma che oggi è tutto a misura di adulto: il cittadino ideale è quello che può spendere e anche il bambino è accettato socialmente nella misura in cui “fa girare il denaro”; cioè se si vede come un piccolo adulto, che scimmiotta i grandi, che si veste come i grandi, che non gioca con sassolini e cagnolini gratuiti, ma con costosi videogiochi e con vestiti griffati.

Il richiamo dei pediatri ad arginare lo strapotere dei mass media con la loro pervasività e la loro immagine commercializzata dell’infanzia è costante; l’attenzione pediatrica a prevenire le malattie è continua. Ma se il bambino non verrà rimesso culturalmente al centro della società, sarà una lotta impari. Se magari la società, con i suoi ritardi nell’attenzione ai più piccoli, prendesse più esempio dall’ancora perfettibile, ma cara vecchia pediatria italiana…