La Consulta, con la sentenza n°197 (redattore Francesco Viganò), ha stabilito che non è contraria alla Costituzione l’automatica rimozione del magistrato che abbia ottenuto favori dagli imputati. Nello specifico, come riportato da Il Fatto Quotidiano, prestiti o agevolazioni da soggetti che il magistrato sa essere parti o indagati in procedimenti penali pendenti nel proprio ufficio giudiziario o comunque nell’ambito del proprio distretto possono determinare la rimozione del magistrato dall’incarico. La Corte ha così sancito che non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura (CSM) rispetto a due procedimenti concernenti magistrati incolpati di avere ricevuto benefici di varia natura da imputati in procedimenti penali pendenti presso le rispettive sedi giudiziarie. Secondo la Consulta, infatti, la sanzione disciplinare che si traduce nella rimozione automatica del magistrato “non lede il principio di eguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione, poiché non determina alcuna irragionevole discriminazione in danno del magistrato autore dell’illecito disciplinare in questione rispetto a chi abbia commesso altri illeciti disciplinari per i quali non è prevista la sanzione dell’automatica rimozione.  La norma non può, d’altra parte, ritenersi intrinsecamente irragionevole in ragione dell’automatismo, da essa previsto, nell’irrogazione della massima sanzione disciplinare prevista dall’ordinamento per i magistrati“.



CONSULTA, LEGITTIMO RIMUOVERE MAGISTRATI CHE RICEVONO FAVORI DA IMPUTATI

Nelle motivazioni della sentenza depositata dalla Consulta, che ha dichiarato legittima la rimozione automatica per quei magistrati che ricevono favori dagli imputati, si precisa che ai giudici “è affidata in ultima istanza la tutela dei diritti di ogni consociato. Per questi motivi, i magistrati “sono tenuti – più di ogni altra categoria di funzionari pubblici – non solo a conformare oggettivamente la propria condotta ai più rigorosi standard di imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo ed equilibrio nell’esercizio delle funzioni […], ma anche ad apparire indipendenti e imparziali agli occhi della collettività, evitando di esporsi a qualsiasi sospetto di perseguire interessi di parte nell’adempimento delle proprie funzioni. E ciò per evitare di minare, con la propria condotta, la fiducia dei consociati nel sistema giudiziario, che è valore essenziale per il funzionamento dello Stato di diritto“. Nella sentenza, la Corte – come riporta Il Fatto Quotidiano – conclude: “Condotte come quelle in considerazione creano un oggettivo pericolo di distorsione dell’attività giurisdizionale in favore del soggetto che ha corrisposto prestiti o agevolazioni al magistrato, e comunque scuotono la fiducia della collettività nell’indipendenza e imparzialità dello stesso ordine giudiziario. Sicché non è contraria alla Costituzione la pur rigorosa scelta legislativa di stabilire, per simili condotte, la necessaria rimozione dall’ordine giudiziario del magistrato che ne sia stato autore, dimostrandosi così non più idoneo all’esercizio delle proprie funzioni“.

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