Non si può che confermare l’allarme, seguito da un’attenta analisi e descrizione del fenomeno, lanciato dal Corriere della Sera – a firma Gianni Santucci – riferito alla produzione, allo spaccio e al consumo di droga. La droga torna prepotentemente e drammaticamente a insidiare, a invadere, ad aggredire le città e i paesi. Con il suo carico di morte e di dolore, di distruzione degli affetti, delle famiglie, dei corpi, dei cuori dei nostri ragazzi, delle loro anime, del loro futuro.
Sicuramente da tempo, da troppo tempo la situazione è così. “La droga ormai scorre a fiumi… ce n’è tantissima, di ogni tipo, in tutti i luoghi, in ogni angolo… anche nelle scuole, fuori e dentro… anche i ragazzini, sempre più piccoli, la cercano e la usano… ormai è una moda… sono più cercate quelle pesanti che quelle leggere… nessuno dice più niente… gli adulti ormai tacciono, non intervengono… le sostanze sono sempre più pericolose, dannose, potenti, l’effetto è sempre più pesante, lungo, devastante… ti rovinano il cervello… ho degli amici che non sono più ritornati (normali con la testa)… e tanti che non sono proprio più tornati ‘in vita’, cioè sono morti…”. Sono alcune delle affermazioni che più frequentemente sentiamo ripetere nelle nostre comunità dai ragazzi che ospitiamo.
Il disagio e la sofferenza, soprattutto all’interno del mondo giovanile, sono indiscutibilmente grandi, vasti, diffusi, ramificati, radicati. Questo si traduce, crea e costruisce, istituisce (rafforza anche) il disagio, il degrado, l’abbandono di tanti quartieri, di tante periferie, di tante, troppe scuole, piazze, stazioni, parchi, discoteche, movide.
Ma sicuramente ciò che maggiormente colpisce sono le numerose schiere di giovani e giovanissimi aggredite e connotate da situazioni-condizioni di disimpegno, rassegnazione, disoccupazione mentale, depressione, sfiducia, lassismo. Sembra proprio che il campo profughi più grande e più drammatico del nostro Paese e dell’intero Occidente sia la sua gioventù. I giovani del nostro tempo sono anch’essi profughi, ossia persone in fuga (da se stessi, dalle proprie famiglie, dalle proprie comunità, dalle scuole, dalle città).
Occorre porvi rimedio. E’ un’emergenza che invoca soluzioni forti e rapide. A tutti i livelli: politico, legislativo, educativo, con appropriati interventi socio-sanitari eccetera. La situazione – è sotto gli occhi di tutti – non è più tollerabile. Per rendersene conto pienamente basterebbe incontrare i genitori dei ragazzi caduti in questa esperienza, ascoltarli, farli parlare, raccontare.
Affermerebbero, griderebbero un immenso e inconsolabile dolore, un acutissimo e sanguinante dolore fatto di anni e anni, di giorni e notti, di paure, di angosce, di lacrime e di urla per il fatto che il figlio è prigioniero, asservito, schiavo della droga. “Mio figlio è morto, vive ma è morto… ha uno sguardo perso, spento, non sorride più, non è più nostro figlio, ce lo hanno portato via… al mattino non si alza più… ora è cattivo, aggressivo, rompe tutto in casa, alza le mani, usa violenza, bestemmia in continuazione, è una menzogna dietro l’altra, non studia, non lavora…”.
Non bastano queste affermazioni dei genitori, non sono più che sufficienti per iniziare una mobilitazione generale contro la droga, cioè contro una deriva insostenibile e indicibile?
I nostri ragazzi, davvero tutti, nessuno escluso, interrogati circa il motivo, l’inizio del loro riscatto, circa il fatto che li ha indotti a intraprendere un percorso di recupero, immancabilmente affermano: “La sofferenza dei miei genitori, il dolore che avevo arrecato loro, non sopportavo più le lacrime di mia mamma”.