Nessuno pensi di essere al sicuro, non ci sono segni premonitori, non ci sono avvisi da cogliere: è il “raptus del malinconico” dice il professor Alessandro Meluzzi sul caso della mamma di Aymavilles (Aosta), Marisa Charrere, che uccide i due figli e poi si toglie la vita. Una famiglia normale, dicono tutti, familiari e conoscenti. “Non li ho mai sentiti litigare” dice un vicino di casa. “Al pomeriggio era sembrata lucida e tranquilla” dicono le colleghe infermiere. “Stiamo parlando di una famiglia normale, che partecipava alla vita sociale del paese attraverso il volontariato” aggiunge il vicesindaco. Non è così purtroppo, i fenomeni di malattia mentale covano nel buio più profondo e possono esplodere nel giro di un minuto, all’improvviso, senza che neanche il protagonista se ne renda conto. L’unico precedente, che può legare quello che è successo, è la morte del padre e del fratello della donna in due rispettivi incidenti stradali, un lutto mai risolto e portato dentro, invisibile, cresciuto giorno dopo giorno. “Anche l’alta percentuale di suicidi che si verificano nelle località di montagna può essere causa di malessere. La solitudine, il clima. L’alta casistica in questo senso ci suggerisce che un esame c’è” dice ancora Meluzzi



Tutti i conoscenti concordano che non c’era stata alcuna avvisaglia di una possibile patologia, come si spiega?

C’è una sindrome che si chiama raptus del malinconico. La parola raptus spiega già di cosa si tratta, una cosa del tutto improvvisa e imprevedibile. E’ una situazione in cui il soggetto sviluppa una depressione così grave da sentire il bisogno di uccidersi e uccidere coloro che vuole portarsi con sé per varie ragioni, anche per proteggerli. Sono persone che covano un quadro di depressione irrisolto e non metabolizzato, senza la consapevolezza di sé e degli altri. E purtroppo, come vediamo, ci può essere anche il caso di una mamma che uccide i figli e poi si suicida.



Poi cosa succede?

A un certo punto il messaggio che arriva alla mente è: me ne devo andare, devo scendere da questo mondo e scendo portando via con me le persone più care che non meritano di restare in un mondo così crudele.

E il marito? Lui, o lei, si decide di lasciarli a soffrire per il resto della vita?

Evidentemente c’era uno stato latente di ostilità nei suoi confronti, bisognerebbe indagare a fondo sulla loro vita. Oppure c’era il desiderio di portarsi via anche lui ma non c’erano le condizioni per farlo. Bisognerebbe sapere se il rapporto con il marito era realistico o delirante, cioè se lei lo sentiva come corresponsabile dell’inferno che riteneva di vivere.



L’unico trauma di cui al momento si è a conoscenza è che la donna aveva perso prima il padre poi il fratello in due diversi incidenti stradali, centra qualcosa secondo lei?

Il lutto è sempre un elemento predisponente, è un motore di depressione, forse quelle due morti avevano predisposto la donna a una condizione depressiva.

La località di montagna può aver contribuito? Non sono pochi i casi del genere che si verificano in queste località.

In montagna c’è una percentuale di suicidi e di alcolismo più elevata che in altre zone. Pesano la solitudine e le condizioni climatiche, se c’è una incidenza maggiore di questo tipo di fenomeni in questi posti sicuramente una ragione ci sarà.

(Paolo Vites)