È senza confini il dolore umano. E senza confini il mistero di ciascuno. Sembrava una donna senza problemi Marisa Charrère, 48 anni, stimata infermiera all’ospedale di Aosta, conosciuta e benvoluta ad Aymaville, il paese dove abitava con marito e due figli. “Una famiglia modello”, dicono i vicini, mai una lite, mai uno screzio. Eppure l’altro giorno Marisa ha iniettato del potassio ai figli e poi a se stessa. “Non ce la faccio più”, sembra abbia lasciato scritto. Che cosa l’ha stroncata? Che cosa ha ucciso la sua speranza, al punto da chiudere la porta in faccia alla vita, per sé e per i figli?



È importante, poi, saperlo? O è più importante ricordare, riscoprire che la vita è un mistero, che l’inquietudine, il desiderio che tutti ci portiamo addosso è sconfinato? Che, a volte, anche le circostanze più apparentemente felici non bastano, che c’è sempre qualcosa che manca. “Qualunque cosa tu dica o faccia/ – scriveva Clemente Rebora – C’è un grido dentro:/ Non è per questo, non è per questo!”. E se questo grido non trova risposta, anche la vita in apparenza più riuscita può diventare un peso insopportabile.



Senza confini è anche l’umana speranza. Quasi a far da eco a quella di Aosta, arriva da Vicenza un’altra notizia. Una mamma, una giovane mamma incinta, malata di tumore, ha rifiutato la chemioterapia per non compromettere il piccolo che portava in grembo. Il bimbo è nato, ora ha tre anni, e il tumore è tornato e si è portato via sua mamma. Che ha offerto la propria vita per quella del figlio. Con la speranza che il grido che anche il piccolo Lorenzo, come tutti, porta in sé, trovi una risposta.

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