Dolce & Gabbana ne hanno combinata un’altra delle loro, a dimostrazione – se ce n’era bisogno – che un conto è fare gli stilisti, un conto è saper fare pubblicità, padroneggiando a fondo leggi e prassi del marketing e dell’advertising internazionale. Questa volta l’hanno fatta veramente grossa “pestando una grandissima cacca”, come ha chiosato senza mezzi termini Sebastiano Barisoni a Radio 24. L’agenzia Ansa ha sintetizzato così il fattaccio: “I prodotti della griffe italiana sono spariti dalle piattaforme di e-commerce già dalla tarda serata del 20 novembre. Il boicottaggio è avvenuto sui tre colossi del settore cinesi Tmall, JD.com e Suning, quelli cross-border NetEase Kaola e Ymatou, e compagnie del luxury e-commerce come Secoo e Vip.com, e Yhd.com. Su Weibo, il Twitter locale, D&G è stato tra i primi 4 dei principali 5 trending topic, dopo le polemiche sui video considerati razzisti e sessisti e ulteriori commenti su Instagram”. Di conseguenza è stata fatta annullare la sfilata-evento programmata all’Expo Centre di Shanghai, già costata diversi milioni di dollari per l’installazione monstre e i 400 abiti cuciti su misura per le altrettante modelle convocate per la gigantesca esibizione.



Ma cos’ha provocato una così dura reazione? È successo che per promuovere le nuove collezioni da esporre nei loro 44 punti vendita sul territorio cinese per venderle poi sulle performanti piattaforme digitali, i due stilisti hanno pensato bene di diffondere in rete alcuni video in cui lo stereotipo della giovane donna cinese un po’ oca cerca di mangiare con le tradizionali bacchette alcuni piatti della cucina italiana (pizza, spaghetti e cannolo siciliano), con prevedibili difficoltà. Mentre  una voce maschile fuori campo, di fronte ai suoi penosi e anche un po’ ridicoli tentativi, le dà consigli su come fare, giocando persino su pesanti doppi sensi nel caso dell’enorme cannolo che ha nel piatto: “Non è che sia troppo grosso per te?”. Voilà: ecco come si distrugge un marchio che si apprestava a conquistare  il più grande mercato del mondo, sostenendo come hanno scritto i due, “di amare la Cina e la cultura cinese, sognando di realizzare a Shanghai un evento che fosse un tributo alla Cina, e che raccontasse la nostra storia e la nostra visione”.



Davvero cose da non credere: ma come è possibile pensare di conquistare un Paese prendendo in giro le sue tradizioni, e in maniera persino scurrile? Chi conosce anche da lontano la cultura cinese sa quanto quel popolo sia perbenista, perlomeno in pubblico, e quanto sia attenta e severa la censura. Attaccatissimi come sono i cinesi alle proprie tradizioni, non è neanche lontanamente pensabile immaginare di sfottere un simbolo della loro cultura alimentare come le bacchette, fatte spesso in legno pregiato e in avorio, commettendo inoltre l’errore (ma è quello meno grave) di mostrare la fanciulla in difficoltà proprio davanti a degli spaghetti, che molti storici sostengono fossero presenti in Cina già da 40.000 anni. Figuriamoci poi fare allusioni sessiste o razziste confrontando la piccola statura della ragazza con la grandezza del cannolo.



È noto che gli stilisti in generale, non solo D&G, preferiscono gestire da sé la comunicazione e la pubblicità sostenendo di essere comunicazione essi stessi, ignorando spesso la competenza necessaria a custodire e promuovere i valori di un brand, in particolare a livello internazionale, e realizzando molto spesso pubblicità meramente provocatorie e del tutto simili. Affidandosi al massimo a fotografi o a videomaker di grido, certamente abili ma altrettanto presuntuosi (Benetton docet). Così può avvenire di “pestare una gigantesca cacca” mettendo a rischio il 30% di un grande fatturato di circa 1,3 miliardi dollari, che è la quota di quello sviluppato nel continente asiatico. Nella sua trasmissione, Barisoni ha fatto notare la particolare perfidia con cui stanno venendo puniti: a D&G è stato impedito di vendere on line, ma è stato permesso di tenere aperti i 44 punti vendita, che in Cina servono solo per far conoscere gli abiti che vengono poi comprati sui siti di e-commerce. Così rimarranno loro solo costi.

Hai voglia a cercare di recuperare diffondendo in fretta e furia un video assai casalingo, in cui appaiono (certamente pensando al crollo dei profitti) con aria funerea cospargendosi il capo di cenere, e pronunciando con voce mesta e balbettante frasi del tipo: “In questi giorni abbiamo pensato moltissimo e con grande dispiacere a quello che è successo e a quello che abbiamo causato al vostro Paese. Le nostre famiglie ci hanno insegnato il rispetto per le altre culture e per questo vogliamo chiedervi scusa se abbiamo commesso errori nell’interpretare la vostra. Vogliamo rimediare e ci impegneremo a fare meglio“. Ah, in Veneto si direbbe “el tacon pesor del buso”. Chissà mai cosa potranno fare di meglio con i loro presuntuosi videomaker. Urge chiamare in causa una solida multinazionale della comunicazione esperta in crisis management. Altrimenti rischieranno di combinarne un’altra delle loro, danneggiando inoltre tutto il Made in Italy nel suo complesso, come ha correttamente rilevato Carlo Capasa, Presidente della Camera Nazionale della Moda.

Una cosa simile era già successa con l’infelice campagna di Toscani che aveva come soggetto i condannati a morte, e che aveva suscitato la ribellione dei rivenditori americani. Ma nonostante tutto Benetton ha richiamato ancora Toscani, che ha fatto un altro scivolone con insulse ammucchiate di ragazzi nudi. Adesso un nuovo clamoroso errore da parte di D&G. Ma se errare humanum est, perseverare diabolicum.