Matteo Salvini non è poi così duro come viene dipinto. “La manovra non è un problema di decimali, ma di serietà e concretezza”, ha detto ieri. Quindi addio deficit al 2,4 per cento, ora si può trattare. Anche lui fa un po’ di sconto, del resto siamo nella settimana del Black Friday. Quel valore sbandierato per settimane come un confine invalicabile, come la linea del Piave che il governo gialloverde avrebbe difeso con tutte le forze contro il nemico di Bruxelles, ora è stata derubricata a “una questione di decimali”, di “numerini” come hanno fatto filtrare fonti grilline. I 5 Stelle, che amano molto i giochi di parole che fanno tanto marketing, hanno fatto sapere che preferiscono i cittadini ai numerini.



Il 2,4 per cento del rapporto deficit-Pil si può dunque toccare, si può scendere al 2,2 o magari al 2 tondo. È una porta aperta al dialogo con l’Europa, dopo l’inconcludente cena tra il premier Conte, il ministro Tria e la troika comunitaria: il presidente della Commissione Ue Juncker e i commissari Dombrovskis e Moscovici. Salvini fa intendere che si può scendere nel fatidico rapporto, Conte aggiunge che alla cena non si è parlato di saldi di bilancio. I numeri sono in discussione, quello da cui non ci si discosterà sono le misure della manovra che devono restare, a cominciare dal reddito di cittadinanza e dalla quota 100 per superare la legge Fornero. Si tratterà di trovare clausole o forme di salvaguardia per aggiustare i conti. Fingere di accontentare Bruxelles senza rinunciare ai capisaldi della legge di bilancio. Oggi si riunirà un vertice con Conte, Tria e i due vicepremier per cominciare a ipotizzare gli accomodamenti contabili.



Né Lega né 5 Stelle hanno interesse a tirare la corda. I grillini se cade il governo vanno a casa e la Lega deve recuperare gli scontenti, deve dimostrare di essere una forza di governo oltre che di rottura. Conte proclama che il suo esecutivo sta rivoluzionando l’Italia, ma per il momento i numeri parlano di crescita assente, debito crescente, disoccupazione in risalita. Gli unici a dare soddisfazione sono i sondaggi che confermano il favore popolare verso i gialloverdi, anche se il peso leghista si rafforza a scapito degli altri contraenti del contratto.

Ma i sondaggi favorevoli non convinceranno Salvini a rompere con Di Maio per tornare da Forza Italia. Il leader leghista si deve mostrare un leader coerente e di parola, uno che tiene fede agli impegni. Le procedure europee per l’eventuale contestazione alla legge di bilancio prenderanno mesi e tutti sanno che una commissione in scadenza non ha il potere per battere i pugni troppo forte sul tavolo delle trattative. Dopo le elezioni europee si vedrà quali sono i nuovi equilibri. Salvini in realtà sembra più guardare a come verrà disegnato il nuovo Parlamento europeo, piuttosto che agli equilibri interni. Per la Lega, il voto di maggio servirà soprattutto a chiarire se ci saranno margini per modificare le attuali rigidità comunitarie, assieme alle altre forze sovraniste, e molto meno a riaccendere le nostalgie del centrodestra che fu.



Per il momento, più che il riavvicinamento a Berlusconi, hanno pesato i malumori espressi dal ministro Savona, uno che conosce bene come ci si muove nel rapporto con i poteri europei, e le paure dell’elettorato del Nord Italia, che pur senza togliere appoggio alla Lega teme che le tensioni sugli interessi possano ripercuotersi presto su risparmi e finanziamenti. Questa tenaglia ha ammorbidito il duro Salvini, non certo la prospettiva di un ribaltone sognato da Forza Italia.

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