Sono 25 le persone indagate in merito al disastro dell’hotel Rigopiano, l’albergo inghiottito da una valanga il 18 gennaio 2017, costata la vita a 29 persone. Ospite presso La Vita in Diretta, programma di Rai Due, due famigliari delle vittime: Gianluca Tanda, fratello di Marco, e Giampaolo Matrone, marito di Valentina Cicioni. E’ tremendo il ricordo di Giampaolo: «Eravamo da soli, stavamo vivendo quella notte come due persone innamorate pazze, stavamo ridendo, scherzando, poi abbiamo fatto delle riprese con il telefonino. Ad un certo punto – prosegue il suo racconto – eravamo nella spa e abbiamo visto la vetrata che ha iniziato a tremare, che stava per venire giù». Quindi è successa la tragedia, con la neve che ha travolto tutto ciò che incontrava sul proprio cammino: «Non mi ricordo quasi nulla di quegli attimi, ho chiamato subito Valentina ma non mi rispondeva nessuno». Giampaolo chiosa così: «Non mi ritengo fortunato ne privilegiato, porto rispetto per le persone che non ce l’hanno fatta. Non avrò più la vita che volevo, Valentina non me la ridarà più nessuno…». Presente in studio anche Gianluca Tanda, rappresentante dei famigliari delle vittime: «Proviamo rabbia e dolore, questa strage poteva essere evitata. Nelle carte della procura c’è un pezzo mancante: perché nessuno è andato a salvarli nelle ore immediate la valanga? Non ce l’hanno ancora spiegato. Mio fratello era salito il 17 con la fidanzata Jessica – prosegue il suo racconto – era un pilota d’aereo e voleva rilassarsi un paio di giorni, mai ci aspettavamo che potesse morire in un albergo». Tutti i famigliari delle vittime si sono uniti per una class action: «Siamo pronti, stiamo cercando di unire i legali per un’unica strada, senza perdere tempo in burocrazia». (aggiornamento di Davide Giancristofaro)



HOTEL RIGOPIANO: INDAGINI CHIUSE

Tra i vari capi di imputazione mossi contro gli indagati dell’Hotel Rigopiano spunta una motivazione che potrebbe rientrare anch’essa tra i capisaldi del prossimo processo sulla strage del Gran Sasso: «Il Comune di Farindola non avrebbe dovuto rilasciare i permessi edilizi per l’hotel di Rigopiano» scrivono i pm di Pescara contro i dirigenti politici del Comune di Farindola, implicati fin dall’inizio nella triste vicenda del Hotel Resort travolto dalla valanga nel gennaio 2017. Sempre secondo l’accusa, «il Piano emergenza comunale era totalmente silente in punto di pericolo di valanghe. Con un nuovo piano regolatore, non sarebbe stato possibile rilasciare i permessi edilizi». Non restano in silenzio i familiari delle vittime, ben 29 sotto le macerie impressionanti di quel Hotel smembrato sotto la montagna di neve: «Andremo a vedere le carte e verificheremo se ci sono spiragli per opporci alla richiesta di archiviazione. In ogni caso, indipendentemente dalle eventuali responsabilità dirette, noi da D’Alfonso abbiamo sempre voluto e continuiamo a volere risposte che lui si è rifiutato di darci», attacca durissimo Alessio Feniello, padre di Stefano, in una breve intervista all’Ansa dopo le indagini chiuse della Procura di Pescara. «Vogliamo risposte da D’Alfonso – conclude Feniello – perché fu uno di quelli che annunciò in pompa magna i nomi dei cinque superstiti, tra cui Stefano. Risposte che non ci sono mai state date».



“DOVEVA CHIUDERE PER L’INVERNO”

Si sono chiuse ufficialmente questa mattina le indagini sulla tragedia dell’Hotel Rigopiano dove il 18 gennaio 2017, presso l’omonima località nel Comune di Farindola, una enorme valanga si staccò in seguito alle forti scosse sismiche di quel periodo in Abruzzo travolgendo l’intera struttura Rigopiano-Gran Sasso Resort. In quel giorno nefasto morirono 29 persone e un’immensità di polemiche iniziò quel giorno per arrivare fino ai giorni nostri: la Procura di Pescara ha confermato che l’hotel era stato costruito su un sito storico di valanga e che l’assenza della “Carta di localizzazione del pericolo da valanga” sarebbe alla base del disastro. Come riporta l’Ansa, i carabinieri forestali del Comando Provinciale di Pescara – guidati dal tenente colonnello Anna Maria Angelozzi – stanno notificando a 25 indagati (24 persone e una società), la richiesta di chiusura indagini per la vicenda dell’Hotel Rigopiano. Sono in tutto sette i reati ipotizzati, oltre a quelli gravi di tipo ambientale: «disastro colposo, lesioni plurime colpose, omicidio plurimo colposo, falso ideologico, abuso edilizio, omissione d’atti d’ufficio, abuso in atti d’ufficio».



CHIUSE INDAGINI PER LA TRAGEDIA DELL’HOTEL RIGOPIANO

Un punto in particolare della ordinanza d’accusa rappresenterà lo snodo centrale del probabile processo a carico degli indagati per la tragedia del Rigopiano: «La ‘Carta di localizzazione del pericolo da valanga’, laddove emanata, avrebbe di necessità individuato nella località stessa in Comune di Farindola un sito esposto a tale pericolo. L’assenza di tale documentazione ha fatto sì che le opere già realizzate dell’hotel Rigopiano a seguito dei permessi di costruire […] non siano state segnalate dal locale sindaco. Tali informazioni avrebbero determinato l’immediata sospensione di ogni utilizzo nella stagione invernale». Insomma, se quella struttura fosse stata chiusa in inverno – come avrebbe dovuto, pare dalle indagini – non vi sarebbe stata alcuna tragedia e non staremmo parlando oggi di 29 morti e intere famiglie devastate per sempre. Tra le persone che rischiano il processo ci sono il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, il Presidente della Provincia di Pescara Antonio Di Marco e il direttore dell’albergo travolto sotto la slavina, Bruno Di Tommaso (che è anche amministratore e legale responsabile della società coinvolta, “Gran Sasso Resort & spa”).