La scienza ha il dovere di spingersi sempre più avanti per cercare di capire la realtà che ci circonda, le sue leggi, i loro effetti, la sua potenzialità… sia per amore della conoscenza in se stessa, sia per orientare questa conoscenza al bene individuale e sociale. Nessuno mette in dubbio la sua mission specifica; nessuno vuole ridimensionarne i confini: tutti, però, auspichiamo che la scienza sappia stare al servizio dell’uomo che l’ha creata e che la rigenera continuamente, dandole nuova vita e nuove energie.



E’ l’uomo il creatore della scienza, di quel sapere scientifico organico e strutturato, che permette di cogliere il collegamento tra tante osservazioni, tra cause ed effetti, che a volte sembrano, sia pure solo apparentemente, slegati e frammentari. Ma è proprio dello scienziato cogliere la necessità del rispetto delle regole, dettate dalla prudenza che cerca di fissare i criteri indispensabili per moderare l’audacia e la passione di un sapere che potrebbero rivolgersi contro l’uomo stesso. In realtà, il primo e principale dei vincoli posti alla conoscenza è sempre e solo il bene dell’uomo in quanto tale, la tutela della sua vita e della sua dignità personale ed è per questo che l’uomo non si era mai spinto, almeno finora, a manipolare il Dna, conscio dei rischi che correva.



Ma in questi giorni è accaduto, ed è accaduto in Cina. Un Paese che da alcuni anni, dalla fine del vecchio comunismo per l’esattezza, sta cercando ostinatamente di recuperare anni di sudditanza culturale e scientifica, rispetto agli Usa e all’Europa, investendo milioni di dollari in una competizione in cui tutto diventa terreno di conquista. Soprattutto in quei campi in cui Usa ed Europa non si sono ancora cimentati. E la manipolazione del Dna era, fino a ieri, un terreno vergine, da cui ci si era tenuti lontano per rispetto dell’uomo e della sua dignità, per la consapevolezza che non si può intervenire su di lui senza conoscere le conseguenze di ciò che accadrà.



L’uomo non è oggetto di sperimentazione; tutt’al più può essere soggetto di una sperimentazione, i cui vantaggi ricadano direttamente su di lui. Quando Jennifer Doudna ed Emmanuelle Charpentier, entrambe americane, misero a punto la tecnica Crispr, una sorta di forbici per tagliare e cucire il Dna, si ispirarono al meccanismo d’azione di alcuni virus. Il loro obiettivo era quello di creare in laboratorio dei modelli di malattie, specialmente di malattie rare, su cui sperimentare farmaci. Una tecnica per l’uomo, che sarebbe stata trasferita sull’uomo sotto forma di farmaci, la cui efficacia era già stata sperimentata e aveva mostrato i suoi effetti positivi. Non era un intervento diretto sull’uomo, ma un intervento per l’uomo.

Ben diverso l’approccio seguito da He Jiankui, lo scienziato cinese che ha comunicato direttamente su Youtube di aver manipolato il Dna di due embrioni, due bambine per l’esattezza, per renderle resistenti al virus dell’Hiv, causa dell’Aids, di cui il padre di una di loro era affetto. Il rischio è quello di aver alterato profondamente lo sviluppo delle bambine, senza alcuna certezza degli effetti che potrebbero esserci. Lulu e Nana, secondo lo scienziato che ne ha dato l’annuncio, sono nate un mese fa e trasmetteranno ai loro figli e ai figli dei loro figli le mutazioni genetiche che He Jiankui ha introdotto nel loro Dna: cosa accadrà in futuro è un mistero il cui costo può essere altissimo.

Una sperimentazione genetica di dubbia efficacia e ad alto rischio, priva di quella fondamentale eticità che dovrebbe caratterizzare ogni ricerca scientifica. Il famoso “principio di precauzione” di cui parla Jonas, e che nessuno può mettere in discussione, ma che He Jiankui ha negato nei fatti.

Il mondo scientifico occidentale, a prescindere da qualsiasi orientamento di natura etica, si è immediatamente e compattamente ribellato a questa notizia, e le ragioni sono di vario ordine, che potremmo così sintetizzare:

1) il disegno stesso della ricerca è ambiguo e confuso, a cominciare dalla diversa esposizione al rischio Aids dei due soggetti, uno solo dei quali aveva un padre effettivamente affetto da Sindrome di immunodeficienza;

2) l’università di provenienza dello scienziato nega di averne mai saputo niente, per cui è mancata quella condivisione nella comunità scientifica di appartenenza che consente una valutazione interna di garanzia e di fatto comunica di aver aperto un’inchiesta;

3) la comunicazione diretta su Youtube indica che non c’è stata nessuna verifica scientifica sulla qualità dell’esperimento, da parte di una rivista scientifica che ne accrediti la qualità, come invece accade per ogni altra pubblicazione seria;

4) l’utopia di voler creare in laboratorio il bambino perfetto, wonderbaby, da cui sono state rimosse tutte le potenziali cause di malattia è di per sé una follia di stampo eugenetico, non solo destinata al fallimento, ma certamente causa di molte altre sofferenze, a cominciare dagli embrioni soppressi: prima, durante e dopo l’esperimento.

In definitiva, si tratta di una sperimentazione che è ancora tutta da dimostrare, tutta da credere e soprattutto tutta da osservare in un futuro a breve, media e lunga scadenza. Ma certamente, a queste condizioni, non la si può assolutamente ripetere: va stigmatizzata con forza, non solo dalla comunità scientifica internazionale, ma anche dalle società che erogano fondi alla ricerca, per esempio sottraendo fondi a ricercatori poco competenti, eticamente non accettabili e scientificamente non credibili. La sanzione economica che impedisca a questi ricercatori di addentrarsi in nuove avventure prive di fondamento e realmente pericolose per l’umanità deve essere tanto forte da dissuadere altri a cimentarsi in qualsiasi progetto di ricerca che così selvaggiamente manipoli il Dna umano.