Fredy Pacini, Monte San Savino, Arezzo. Il paese, 8mila abitanti, è noto per la porchetta, per la Polisportiva e perché ha fatto da sfondo a una fiction di prima serata. Fredy non è un riccone, ha una rivendita di gomme per auto. Solo che i ladri ce l’hanno con lui, si vede che l’han preso di mira, o c’è poco altro da rubare da quelle parti. Negli anni ha subìto 38 furti, e per questo da quattro anni Fredy ha deciso di vivere in azienda. Un letto, un angolo cottura, notte e giorno, casa e bottega, col puzzo di pneumatici che ormai fa parte di te, sempre.



Pensate la solitudine, e pensate la rabbia accumulata nel tempo, per esser stato abbandonato da uno Stato che non sa proteggerlo. Poi, l’altra notte, ha sentito dei rumori, ha intravisto, ha sparato. Due disgraziati, nel senso letterale del termine: due giovani moldavi intrufolatisi nel suo piccolo regno, e lui questa volta spara. Non sa se colpisce o no, ma spara, per la rabbia, per la paura. E uccide.



E’ indagato per eccesso di legittima difesa, Fredy, è balzato alle cronache per un omicidio, non più per la sua storia tapina che registrò una televisione locale, lanciando il suo grido inascoltato di aiuto. Ora il mondo sa chi è, e mezzo mondo lo guarda torvo, mentre l’altro fa il tifo.

Fredy è diventato un segno di contraddizione, e sarà d’ora in poi uno strumento di lotta politica. Perché Fredy ha incassato immediatamente la solidarietà di due ministri, e uno dei due è un avvocato famoso; perché è appena stato votato un decreto sicurezza che ha spaccato perfino la maggioranza; perché da troppo tempo fa scandalo che siano indagati con ignominia le vittime di furti e violenze, in casa o al lavoro, costretti a scegliere in un attimo se diventare assassini o essere assassinati (e non puoi prevedere prima se saranno solo calci o coltellate); fa scandalo, però tocca capire, se il grilletto è facile o se si è spinti dalla disperazione, dall’istinto; come tocca capire cosa significa passare quei momenti, e avere un porto d’armi: un conto è imparare a tirare al poligono, a freddo, un conto quando hai davanti un delinquente, e fatichi a tarare emozione e mira.



Non è facile giudicare, e penso solo al dolore, allo smarrimento di quest’uomo che si è sempre considerato buono, giusto, e che oggi si ritrova imputato, quando il tribunale peggiore non è quello dello Stato, che solo ora si fa vivo con lui, ma quello di una coscienza che sarà tormentata, che sarà a pezzi, che non riuscirà a dimenticare.

Io sto con Fredy, ma senza hashtag sui social, senza “mi piace” alla pagina social del ministro degli Interni. Io sto con Fredy senza applausi, come han fatto i suoi dipendenti e amici: perché non si applaude mai alla morte di un uomo, a una ferita perenne nella vita di un altro uomo.

Spero che non lo condannino, Fredy, perché avrà già una condanna su di sé, senza averla cercata. Ma spero soprattutto che in questo Paese siano le forze dell’ordine a garantire la sicurezza ai cittadini. Prevenendo i delitti. Per una volta, preferirei non imitare gli States.