Nell’ambito del processo Eternit bis che si sta svolgendo presso il Tribunale di Torino, nel primo pomeriggio di oggi è arrivata l’attesa richiesta di condanna da parte della procura a carico dell’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny. Secondo quanto reso noto dal quotidiano Repubblica.it, il pubblico ministero Gianfranco Colace, al termine di una lunga requisitoria fiume della durata di oltre tre ore ha chiesto una pena di 7 anni per la morte di due persone, operai di uno stabilimento a Cavagnolo, dovuta all’esposizione all’amianto riconducibile all’Eternit. Quella avanzata dal rappresentante della pubblica accusa è esattamente la massima pena nei confronti dell’imputato motivata con il “disegno lucido che metteva davanti la tutela dell’azienda e in secondo piano la tutela della salute”. A detta del procuratore, “Nonostante fossero noti i rischi per l’esposizione da amianto non sono state prese misure per la sicurezza dei lavoratori e della popolazione, visto lo stato di abbandono in cui sono stati lasciati gli stabilimenti”.



PROCESSO ETERNIT: LA TESI DELLA PUBBLICA ACCUSA

Il processo Eternit bis va avanti dopo la richiesta di condanna avanzata dal procuratore di Torino al giudice Cristiano Trevisan secondo il quale “l’imputato merita il massimo della pena”. Si procede per omicidio colposo. La causa, spiega RaiNews, è stata aggiornata al prossimo gennaio quando in aula interverranno le parti civili e l’avvocato difensore Astolfo Di Amato. Il processo in corso e che vede imputato l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny rappresenta il filone tutto torinese della maxi inchiesta sulle 258 morti per amianto che, all’udienza preliminare era stata spezzata in quattro tronconi differenti di competenza territoriale. Gli atti erano quindi stati trasmessi a Vercelli, Reggio Emilia e Napoli. Oggi in aula il procuratore torinese, rappresentante della pubblica accusa ha argomentato che “la colpa cosciente c’è. Accettiamo anche se non condividiamo che non ci sia il dolo eventuale però il grado della colpa è elevatissimo. E nemmeno ho avvertito un qualche ravvedimento dell’imputato per quello commesso dall’azienda della sua famiglia”.

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