“Il crocifisso per me è il simbolo della nostra storia, della nostra cultura, delle nostre tradizioni: non vedo che fastidio possa dare nelle nostre aule scolastiche anzi, può aiutare a far riflettere”. Queste le parole del ministro Marco Bussetti, titolare dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Non vedo cos’altro avrebbe dovuto dire.



La notizia sarebbe stata se un ministro della Repubblica italiana avesse dichiarato che il crocifisso nelle scuole gli dà fastidio e lo vieterebbe volentieri. Di più: il predetto ministro ha anche detto che il presepe a scuola è cosa buona e giusta, e qui cominciano i problemi, perché il multiculturalismo, il dialogo interreligioso, la condivisione, la contaminazione eccetera, diventate weltanschauung, permettono tutte le religioni e le filosofie, meno che la cristiana.



Dunque dicendo l’ovvio, il ministro si è fatto dei nemici. Di peggio: il ministro ha incautamente detto, en passant, che le scuole paritarie devono avere finanziamenti dallo Stato, e qui si è dato la zappa sui piedi, perché quell’elemosina, stabilita sulla base di un accordo e di un evidente vantaggio per lo Stato se ai genitori è permessa libertà educativa, oltreché sulla base di un uso degno della ragione, quell’elemosina appunto sembra togliere aria all’intero sistema educativo, inibire l’attuazione di infiniti progetti formativi, restauro di edifici pericolanti, ingaggio docenti, acquisto materiale didattico e informatico, e forse delle matite e dei temperini.



Ma l’ovvio è diventato straordinario, e l’eccentricità la norma, cosicché per l’ovvio il ministro si becca i titoloni sulle agenzie, i rimbrotti degli avversari e l’accusa di faziosità (e poi è “solo” un insegnante di ginnastica, ci viene sempre ricordato da chi ritiene di avere da sempre il dominio assoluto della cultura. E della scuola).

Proprio ieri ho avuto la ventura di incontrare un missionario saveriano, Tiziano Tosolini, filosofo, intellettuale raro, che vive in Giappone da oltre vent’anni. Che mi spiegava quanto le scuole cattoliche siano stimate, apprezzate, scelte con la massima fiducia dalle famiglie, e non si parla di famiglie cristiane, vista l’esigua comunità cattolica in quella terra lontana. Fanno a gara per iscriverci i bambini, dalle materne in su, e loro il welfare che funziona per garantire l’asilo a tutti ce l’hanno. Ancora: quel che amano le famiglie giapponesi dell’educazione cattolica sono gli insegnamenti che fanno l’uomo retto e generoso e giusto; mentre i bambini, che sono bambini dappertutto, amano le storie di Gesù, dei santi e le recite, soprattutto quelle di Natale, e il rito del presepe. Nessuno si ritiene offeso, colonizzato.

Già, in Giappone sono educati e gentili. Noi un po’ meno, e abbiamo dimenticato chi siamo.