«Non è uscito niente su mio padre, stiamo parlando del nulla». Così Vincenzo Iaquinta parla a “Le Iene” della condanna a 19 anni di suo padre Giuseppe. L’ex attaccante di Udinese e Juventus ha ricostruito con Giulio Golia le tappe dell’inchiesta che ha portato al processo e alla condanna. «Mi fa paura sentire questa parola, essere accostati alla ‘ndrangheta è la cosa più brutta che poteva capitarmi. Avevo fiducia nella giustizia, ma ora è arrivato il momento di far capire alla gente che mio padre è innocente. Sono stanco di questa situazione». Iaquinta parla di accanimento nei confronti della sua famiglia. «Essere calabrese non vuol dire essere ‘ndranghetista. Ho paura solo a parlarne, sto tremando. Sono stato marchiato». Iaquinta ha raccontato le lacrime dei figli per le condanne e il dolore di sua madre, malata di tumore da quattro anni. «Io avevo preso il porto d’armi, le armi sono rimaste sempre a casa mia. Mia sorella chiese di andare ad abitare in quella casa, allora mio padre se l’è portate a casa sua per sicurezza, e quella è stata un’ingenuità perché dovevo denunciare lo spostamento. Sono stato condannato perché ho dato le armi ad un mafioso, che sarebbe mio padre». Nelle carte del processo si parla però di frequentazioni del padre con presunti capi della ‘Ndrangheta. «Mio padre ha detto che li conosceva, ma non ha fatto niente con loro, e le carte lo dimostrano. Conoscere certe persone non è reato, tutti si conoscono in paese. Ma questo non vuol dire che ha fatto qualcosa di sbagliato». Ma a Iaquinta fa male anche sapere che qualcuno insinua facilitazioni per i presunti legami con la ‘Ndrangheta: «Non mi hanno mai chiesto niente a parte qualche maglietta o foto. Questa è mafia?». (agg. di Silvana Palazzo)
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‘NDRANGHETA, VINCENZO IAQUINTA A LE IENE DOPO LA CONDANNA
Vincenzo Iaquinta parla a “Le Iene” dopo la sua condanna a due anni nel processo più grande mai celebrato al Nord sulla mafia calabrese. L’ex attaccante di Udinese, Juventus e Nazionale proclama con rabbia la sua innocenza ai microfoni di Giulio Golia, e fa lo stesso per il padre, che è stato condannato invece a 19 anni. «Siamo innocenti», dichiara nell’intervista rilasciata al programma di Italia 1. Si tratta della prima intervista rilasciata dal calciatore dopo la sentenza. Parlando con la Iena, Iaquinta sostiene che lui e suo padre sono stati condannati perché calabresi di Cutro, paese da cui viene il boss principale al centro del processo Aemilia, Nicolino Grande Aracri. Tra le accuse c’è quella che la ‘Ndrangheta avrebbe facilitato la sua carriera. «Ma stiamo scherzando, tutte fesserie! È la cosa più schifosa che hanno detto i pentiti: io ho fatto 90 gol in serie A e 40 presenze in Nazionale».
IAQUINTA E IL PROCESSO AEMILIA
Vincenzo Iaquinta si è fatto un’idea sul processo Aemilia, per il quale il 31 ottobre scorso c’è stata la prima sentenza, quella in primo grado. «Può essere che questo processo, se assolvevano mio padre, poteva cadere perché non c’era più un’immagine per i media». L’ex attaccante di Udinese e Juventus sostiene che il processo ruoti solo attorno al suo nome, che si regga in piedi per questo. «Lo stiamo tenendo su noi questo processo: Iaquinta…, Iaquinta…, su tutti i giornali. Ci sono state 119 condanne, hanno parlato solo di Iaquinta Giuseppe e Vincenzo Iaquinta», prosegue il calciatore. La popolarità ha i suoi pro e contro, sottolinea Iaquinta. «I giornali mettono solo: due anni a Iaquinta per ‘Ndrangheta, maledizione!». Per Iaquinta questa è la cosa più brutta che possa capitare: «Un giorno mi sono fermato al McDonald’s. Una signora che era alla cassa mi ha riconosciuto: “Ah, c’è Iaquinta”. E di là quello che lavava i piatti ha detto: “Ah, quel mafioso!”. E io c’avevo i bambini in macchina».