Su Repubblica di oggi (4 novembre 2018) è stato pubblicato un lungo editoriale del direttore emerito Eugenio Scalfari (classe 1923) in cui l’autore bacchetta il collega Aldo Cazzullo reo di non aver citato come conseguenza della Prima guerra mondiale il fascismo e la Shoah. Chi legga queste righe sappia che non è ubriaco. “Il collega Aldo Cazzullo — scrive Scalfari — ha scritto un bell’articolo … dimenticando la strage degli ebrei e le conseguenze politiche che ne derivarono. Del resto la Grande Guerra produsse la marcia su Roma e la ventennale dittatura. Bastava questo evento, che Cazzullo sottovaluta, per far sorgere qualche dubbio su quello che ha scritto”.



Dopodiché l’ex direttore prosegue con una lezione di storia che parte addirittura da Romolo e Remo per dire che in Italia il popolo non è mai stato sovrano anche se abbiamo avuto grandi geni nell’arte ma siamo stati “un paese mediocre e spesso obbediente ad altre e lontane sovranità”. Inevitabile l’allusione alle responsabilità della Chiesa cattolica, anche se il titolo “Una guerra non fa una nazione” pone un obiezione corretta all’articolo di Cazzullo. E’ giusto e doveroso chiedersi se questo fosse l’unico modo per “fare una nazione” e se non fosse preferibile una crescita nella pace. Si dovrebbe, tuttavia, prescindere dalla temperie culturale del primo Novecento quando la guerra veniva vista come mezzo di risoluzione delle controversie tra Stati. Scalfari ha quindi ragione a porre delle obiezioni al breve articolo di Aldo Cazzullo, peraltro equilibrato come sempre.  



Ora, Aldo Cazzullo persegue da anni, con accanimento pari alla fortuna editoriale, il recupero di un’identità nazionale: si pensi al notevole Possa il mio sangue servire sulla Resistenza e al più confuso ma emozionante La guerra dei nostri nonni. Per addebitare a Cazzullo un silenzio sulla Shoah Scalfari compie una serie di salti logici carpiati e in doppio avvitamento degni di Klaus Dibiasi. Il fascismo, se proprio vogliamo, può essere considerata una risposta aberrante alla Rivoluzione d’ottobre e al comunismo sovietico, come avvenne in quasi tutta Europa con la notevole eccezione di Gran Bretagna e Francia. Non solo: è imbarazzante l’accusa a Cazzullo di non aver citato le leggi razziali da parte di chi, sia pure diciannovenne, scriveva nel 1942 che bisognava tener conto di un fattore nuovo, “la razza quale elemento etnico, sintesi di motivi etici e biologici che determina la superiorità storica dello Stato nucleo e giustifica la sua dichiarata volontà di potenza” oppure “gli imperi moderni quali siamo noi e li concepiamo sono basati sul cardine ‘razza’ escludendo persino l’estensione della cittadinanza da parte dello stato nucleo alle altre genti”.



Orbene, è chiaro che in tanti, specie se giovani, caddero nella trappola dell’ideologia e non se ne può fare loro una colpa. Chi scrive ricorda fin troppo bene quante scempiaggini sono uscite da questa mia boccuccia durante i cortei studenteschi negli anni Settanta. Tuttavia, non si potrà negare che l’allusione al razzismo appaia quantomeno sorprendente.

Ma è sulla lezione di storia che Scalfari lascia interdetti e imbarazzati. Leggendola sembra che la sua fonte storica sia la mia prediletta enciclopedia “Conoscere” di quando facevo le elementari: formativa e basilare quanto oleografica. Una storia priva di complessità e con perle meravigliose come questa, sempre di Scalfari: “Quando la liberazione dai Borboni del Sud fu compiuta”. Sì, signori lettori, il Sud è stato liberato dalla tirannia dei Borboni e sia chiaro che chi scrive non è un nostalgico dei Borboni o del mito del sud civile e industrializzato come spesso si propaganda. Ma è un fatto che l’esercito italiano fu impegnato in una guerriglia spietata, costata migliaia di morti nella cosiddetta “lotta al brigantaggio” e che l’emigrazione verso le Americhe cominciò dopo l’Unità d’Italia.

L’Italia paese mediocre? C’era una volta un coetaneo di Scalfari, nato nel 1922 e che si chiamava Giuseppe Fenoglio. Ne Il partigiano Johnny fa dire a un suo personaggio che la Resistenza, rispetto all’Italia fascista, avrebbe voluto un’Italia “più piccola ma più seria”. Non ho ancora capito dove fosse Scalfari mentre Fenoglio era partigiano con i monarchici di Enrico Martini, ma non ritengo che Fenoglio fosse un mediocre, né lui, né quelli che erano con lui. Forse la mediocrità comincia col narrare la storia semplificandola fino a ridurla a un teatrino di pupi siciliani. E’ questa la radice della mediocrità ed è da questa che dobbiamo, tutti, guardarci bene per evitare di somigliare troppo al nostro nemico di turno, ignorante e, chissà perché, sempre “fascista”.