Venticinque anni fa passai per Hong Kong. Desideravo visitare la Cina per la prima volta, ma, non avendo preventivamente richiesto il visto, dovevo rinunciarvi. Un amico mi disse: “Perché non visiti la Special Economic Zone di Shenzhen, fa parte della Cina, ma è possibile entrarvi con una semplice autorizzazione rilasciata ad Hong Kong in giornata”. Detto fatto: aliscafo per Macao e ingresso in Cina a Shenzhen, dove un muro separava la Special Economic Area in fase di completamento, muro eretto non già verso Macao ma verso il resto della Cina, per evitare che cinesi non autorizzati potessero entrarvi.
Era un villaggio di pescatori a ridosso di Macao e Hong Kong, vi vivevano meno di 50.000 persone. Oggi, a distanza di 25 anni, Shenzhen è una città di quasi 13 milioni di abitanti, ha da sola un Pil pari a quasi il 20% di quello italiano e il suo porto è il terzo al mondo, con oltre 23 milioni di contenitori/teus movimentati: un’economia floridissima, una delle grandi eccellenze della Cina. Tutto grazie alla Special Economic Area pensata e realizzata dalla Cina 30 anni fa.
Quando in seguito ho ragionato delle zone economiche speciali ho sempre pensato all’esempio di questo poverissimo villaggio di pescatori, trasformato in pochi anni in un’eccellenza economica mondiale. Il segreto è stato quello di collocare la zona economica speciale vicino al mare, trasformando un piccolo porto di pescherecci in uno dei primi porti containers del mondo.
Ma veniamo al nostro Paese, certamente così lontano e così differente dalla Cina per geografia, economia, cultura, e vediamo se e dove possano inquadrarsi economicamente in Italia delle Zes. Per favorire questo ragionamento ritengo opportuno e utile partire dall’osservatorio privilegiato del Cluster marittimo-portuale italiano. L’economia del mare in Italia negli ultimi 20 anni si è ben sviluppata con tassi di crescita superiori ad altri settori economici.
L’ultimo studio, consegnato dal Censis alla Federazione del Mare, fotografa nel 2015 un settore in condizioni migliori di molti altri campi dell’economia e con numerose eccellenze a livello europeo e mondiale. Il Prodotto interno lordo dell’Economia del Mare ha superato i 32 miliardi di euro annui, poco più del 2% del Pil italiano. Nello stesso periodo l’occupazione, tra addetti diretti e indiretti, si è attestata sui 470.000 dipendenti, anche in questo caso circa il 2% degli occupati italiani.
Ma è soprattutto importante rilevare come, a distanza di 20 anni dal primo Studio Censis del 1996, i dati relativi al Prodotto interno lordo e all’occupazione siano cresciuti nel 2015 rispettivamente del 65% (Pil) e del 65 % (occupazione) rispetto al 1996.
L’ultima fotografia del Censis ci consegna eccellenze italiane in Europa nei settori delle crociere (10 milioni di crocieristi movimentati nel 2015 nei porti italiani, che stanno diventando 11 nel 2019) e del cabotaggio (oltre 40 milioni di passeggeri), con primati nel mondo nei settori del ro-ro (245 navi per circa 4,8 milioni di tonnellate di stazza), delle costruzioni di navi da crociera (Fincantieri) e dei super yacht (Azimut-Benetti).
Negli ultimi anni abbiamo invece registrato maggiori sofferenze nel settore portuale, dove la programmazione nazionale, la governance dei porti, l’infrastrutturazione e soprattutto la logistica integrata non sono state adeguate allo sviluppo europeo e mondiale dei traffici marittimi, questo anche per ritardi gravi nella riforma della legge portuale, che si è realizzata solo nel 2016. L’Italia è passata quindi in pochi anni dal primo al terzo posto in Europa per import/export via mare e la portualità nazionale ha perso quasi 2 punti nel quadro dell’Ue a 28, passando dal 13,7% del 2005 al 12% del 2015. Dimensioni, capacità, tipologie di navi avrebbero richiesto modifiche legislative e infrastrutturali molto più tempestive. In questo quadro chi ha sofferto maggiormente è il Mezzogiorno d’Italia, che ha visto aggravarsi la deficienza logistico-infrastrutturale rispetto al resto del Paese. Nel 2016, però, la legge di riforma portuale segna un cambiamento di rotta mettendo al centro la portualità di un nuovo sistema economico, che prevede concentrazioni di porti, nuove governance e semplificazioni delle procedure.
Questo il quadro economico e normativo dell’economia del mare. Ma allora quali ulteriori opportunità offriranno le Zes per il Mezzogiorno, e soprattutto per la Campania, attualmente solo settima regione italiana per contribuzione al Pil, ma terza per “intensità marittima” e prima per attività di shipping? La centralità dei porti nel disegno legislativo è confermata dalla governance del Comitato di indirizzo, che è presieduto dal Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale interessata (oltre che da un componente di Regione, Presidenza del Consiglio e Ministero dei Trasporti). La governance delle Zes, affidata all’AdSP, sembra assolutamente condivisibile, perché riconosce la centralità del porto nel possibile sviluppo delle aree retrostanti (vedi esempi di Shenzhen, TangerMed, ecc.).
Le grandi direttrici internazionali dei traffici, disegnate anche dal recente progetto cinese “la via della seta”, non potranno in Italia appoggiarsi a tanti porti, e probabilmente concentreranno i loro indirizzi verso pochi porti dell’alto Tirreno e dell’alto Adriatico. Questo non vuol dire che i porti del Mezzogiorno d’Italia saranno esclusi dai grandi traffici intercontinentali, ma certamente la vocazione degli scali meridionali potrà meglio concentrarsi su rotte mediterranee, europee, africane e del Medio Oriente.
La portualità del Mezzogiorno d’Italia, secondo i puntuali dati forniti da Srm (Centro studi del Gruppo Intesa sull’economia marittima), ha un’importanza strategica in termini relativi superiore a quella del Nord Italia: infatti, mentre solo il 33% dell’import/export del Nord Italia muove via mare, questa percentuale sale al 60,5% nei territori del Mezzogiorno d’Italia, evidenziando le difficoltà logistiche del Sud Italia a raggiungere i mercati europei via terra (per evidenti limitazioni geografiche) e indicando quindi l’assoluta importanza strategica della portualità meridionale per l’industria e il commercio del Mezzogiorno.
Abbiamo recentemente incontrato le Autorità del porto e della municipalità, gli investitori e gli operatori logistici di Shenzhen: a 25 anni dalla mia prima visita in loco abbiamo concretamente verificato lo stato di attuazione della Special Economic Zone, con i grandi risultati raggiunti e i faraonici programmi per il futuro.
Abbiamo preso spunti importanti per la realizzazione delle Zes nel nostro Paese e quello che mi ha maggiormente colpito è il ruolo centrale del porto nella Special Economic Zone, ruolo che le Autorità locali hanno tenuto a riaffermare: mi sembra che questo dimostri la corretta impostazione della nuova legge italiana che vede per le Zes un ruolo fondamentale delle nuove Autorità di sistema portuale.
Ritengo infine che la grande scommessa delle Zes sia la capacità di tutte le istituzioni coinvolte nel semplificare realmente le procedure amministrative e burocratiche che molto spaventano e bloccano gli investimenti di imprenditori italiani e soprattutto esteri. Se riusciremo in questa difficile impresa, le Zes potranno effettivamente avere successo e portare al territorio e ai porti ricchezza e lavoro, altrimenti i soli benefici economici non giustificheranno nuove iniziative di imprenditori che sceglieranno di installarsi in altre aree economiche speciali fuori dal nostro Paese.