Un pakistano di 30 anni ha stuprato la moglie (sposata quando lei aveva 15 anni in patria), ha schiaffeggiato la figlia perché nata femmina e ha ripetutamente minacciato di morte le due donne della sua famiglia: il tutto perché non avrebbero “rispetto” la lucida follia radicale islamista che aveva in mente questo oscuro figuro oggi condannato a Milano a 3 anni e 8 mesi di galera. Le violenze continuavano ormai da mesi quando lo scorso agosto l’uomo è stato arrestato: decisivo il servizio di accoglienza e ascolto che la Clinica Mangiagalli a Milano prosegue incessantemente da decenni con le persone e le donne in particolare più in difficoltà. La donna per una volta è riuscita a sfuggire alle angherie del marito e ha trovato il coraggio di denunciare il tutto prima alla Clinica milanese e poi alla Procura: il gup di Milano Guido Salvini ha condannato l’imputato a risarcire la moglie con una provvisionale di 20mila euro di multa e ha disposto la sua espulsione a pena espiata dopo i 3 anni e 8 mesi.



PAKISTAN, LA “SCIA” DI TERRORE CONTRO LE DONNE

«Il matrimonio è stato celebrato in Pakistan nel 2014, poi il marito è partito e la moglie lo ha raggiunto nel marzo del 2018. Quando è arrivata in Italia per lei e la bambina è iniziato l’incubo», ha spiegato l’avvocato dell’accusa Ilaria Scaccabarozzi durante la sede civile del processo (avvenuto con rito abbreviato). «Se chiami la polizia ti uccido. Ti butto giù dal balcone» gridava il 30enne alla giovane moglie che in Pakistan faceva l’insegnante. Non solo, pare che schiaffeggiasse anche la figlia appena nata per il solo fatto di essere femmina e quindi inferiore per una certa “fascia” radicale dell’Islam fondamentalista. Per più volte poi, secondo l’accusa, l’uomo avrebbe stuprato la moglie picchiandola poi con calci, pugni e con il cavo del carica batteria legato alla gola. Una scia di terrore continua che vede nel Pakistan (ma non solo) un rapporto spesso “complicato” nei confronti delle giovani donne, anche se da tempo ormai residenti in Italia: così le storie di Farah, di Menoona e della povera Sanaa Chema, lei proprio vittima di un padre e un fratello che non le hanno consentito di vivere “all’occidentale” sgozzandola dopo averla segregata. Oggi per fortuna il caso di Milano viene risolto con il coraggio di questa donna che ha concesso una nuova speranza per sé e per la propria splendida figliolina.

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