La sentenza del 6 novembre della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza cause riunite C-622/16 P e a.) ha destato non poche reazioni.
Molte di queste sottolineano con una certa soddisfazione che “finalmente giustizia è fatta”, “una sentenza storica”, dichiarano: la Chiesa italiana dovrà pagare l’Ici allo Stato per gli anni 2006-2011 (almeno 4-5 miliardi di euro)!
Altre – più oggettivamente e perciò più realisticamente preoccupate – riconoscono che la decisione della Corte di Lussemburgo creerà non pochi problemi non solo allo Stato italiano, non solo alla Chiesa, quanto piuttosto a tutto il mondo non profit (anche laico) impegnato da decenni in attività educative, ricreative e culturali di vario genere.
Ma proviamo a riassumere di cosa stiamo parlando.
Dal 1992 tutti gli enti non commerciali che svolgevano attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché attività di religione e di culto in immobili utilizzati esclusivamente per queste attività, erano esentati dal pagamento dell’Imposta comunale sugli immobili, la famigerata Ici.
Negli anni successivi poi si è creata molta confusione sull’interpretazione della “modalità non commerciale” di svolgimento delle attività con pesanti ricadute fiscali sugli enti interessati.
Il ministero delle Finanze nel 2009 si preoccupò di elencare i soggetti che potevano essere definiti enti non commerciali: “enti pubblici e privati diversi dalle società che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali: gli organi e le amministrazioni dello Stato; gli enti territoriali (…); le aziende sanitarie e gli enti pubblici istituiti esclusivamente per lo svolgimento di attività previdenziali, assistenziali e sanitarie; gli enti pubblici non economici; gli istituti previdenziali e assistenziali; le università ed enti di ricerca; le aziende pubbliche di servizi alla persona (ex Ipab); le organizzazioni di volontariato; le organizzazioni non governative; le associazioni dì promozione sociale; le associazioni sportive dilettantistiche; …. le ex Ipab privatizzate; gli enti che acquisiscono la qualifica fiscale di Onlus; gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti secondo le previsioni dell’Accordo modificativo del Concordato Lateranense e delle intese tra lo Stato italiano e le altre confessioni religiose”.
Insomma, non si sta parlando solo di Chiesa Cattolica.
L’esenzione prima dall’Ici e poi dall’Imu ha sempre avuto un suo motivo perché si è cercato di evitarne l’imposizione a quelle realtà di solidarietà e assistenza che effettivamente non è possibile inquadrare in una logica commerciale, non necessariamente cattoliche.
Nel 2012 la Commissione europea, a seguito delle denunce ricevute da una scuola montessoriana e da un’attività di “bed & breakfast”, stabilì: a) che l’esenzione dall’Ici, per coloro che svolgevano nei propri immobili attività commerciali, costituiva un vero aiuto di Stato (quindi non legale) e b) che l’Italia non avrebbe potuto recuperare quelle somme perché era “assolutamente impossibile”.
La Corte di Giustizia ha annullato la decisione della Commissione perché, secondo l’ultima sentenza, “avrebbe dovuto esaminare nel dettaglio l’esistenza di modalità alternative volte a consentire il recupero, anche soltanto parziale, delle somme”.
Inoltre, come al solito, quando manca una chiarezza nelle disposizioni legislative (fiscali in particolare) è più semplice che pregiudizi ideologico-culturali e non fondati sulla realtà delle cose prendano il sopravvento: credo, concordando con mons. Stefano Russo, segretario della Cei, che qualsiasi attività commerciale (cioè svolta con modalità commerciali) debba essere assoggettata alle imposte senza esenzione alcuna. Ma non è corretto “fare di ogni erba un fascio”. Mi pare assurdo e fuori di ogni logica utilizzare questa sentenza contro la Chiesa cattolica. Esistono migliaia di attività e servizi che vengono svolti da associazioni, cooperative anche non religiose e offerti ai più bisognosi e alle famiglie, spesso con un risparmio molto più grande che se fosse lo Stato stesso a svolgerli.
La sentenza mi pare invece evidenzi alcuni problemi politici e fiscali che richiedono attente valutazioni e che coinvolgono vari soggetti:
1) conferma la legittimità delle disposizioni Imu (che ha sostituito l’Ici dal 2012) prevedendone l’esenzione anche per le attività svolte in modo non commerciale;
2) non consente immediatamente ai comuni di recuperare gettito e soldi per l’Ici non versata;
3) ripropone il tema del “come” sarà possibile recuperare somme ritenute illegittimamente non pagate anche perché recita che “ad impossibilia nemo tenetur”: cioè occorrerà individuare modalità alternative di recupero rispetto a quelle già individuate e considerate non percorribili dalla Commissione;
4) l’attuazione della recente riforma del Terzo settore è ambito privilegiato per chiarire le modalità di svolgimento delle attività di migliaia di enti e organizzazioni;
5) il confronto costruttivo e dialogante e la conseguente osservazione della realtà per quello che è sono l’unico metodo per addivenire ad una soluzione equa e ragionevole.
Mi auguro che nell’attuale discussione della legge di bilancio non vengano inserite – pretestuosamente – facili soluzioni demagogiche ad un problema che richiede tempo e attenzione e che le parti in gioco (Stato italiano, Commissione europea, Terzo settore, Chiesa) siano disponibili ad un lavoro comune per il bene e la valorizzazione della società civile e dei corpi intermedi, di cui oggi c’è grande bisogno.