L’80% dei bambini tra 3 e 5 anni ormai sono digitalizzati, cioè sanno usare uno smartphone. E’ un dato reso pubblico in questi giorni che ha destato allarme. Un allarme centrato sui rischi per la salute dei piccoli dall’uso eccessivo e intensivo di questi strumenti: problemi per il sonno, per la socializzazione, per le radiazioni. Attenti però a non guardare solo gli effetti clinici dimenticando il mostro che sta dietro di essi: la perdita di connessione dei genitori con i figli.



Genitori disconnessi, tanto da cercare di affibbiare i figli in custodia a qualche strumento che faccia le loro veci. Prima c’era la tv che si babysitterava il bambino, in pratica ipnotizzandolo, ora c’è il tablet che questo lavoro lo fa ancora meglio, perché lo coinvolge anche sensorialmente. Insomma, si connette il figlio col web per disconnetterlo dagli adulti e dal mondo circostante, e questo non è un bene. Perché gli strumenti diventano fini, cambiano di natura con l’aumentare della loro potenza e numerosità: il giocattolo trasformato in “giocattolo intelligente” non è più uno strumento del bambino, ma uno strumento di controllo da parte dei genitori e di distrazione ad uso dei grandi. E il mostro della disconnessione prende forma. Quando si pretende di far diventare intelligenti quelli che dovrebbero essere strumenti, si delega loro la nostra responsabilità; e delegandola a poco a poco, la si perde, e se ne diventa incapaci: si trasformano gli strumenti in mostri e si trasformano in estranei i genitori.

Il mostro della disconnessione passa attraverso quello che avevo chiamato “effetto Suv” ovvero l’abbassamento patologico dell’attenzione e della responsabilità: guidare un’auto super attrezzata e supercorazzata fa spesso abbassare il livello di attenzione, dato che la presenza della meccanica avanzata ti fa sentire al sicuro; ma alla fine perdiamo il controllo del veicolo. Esattamente nello stesso modo vediamo segnali allarmanti di disconnessione e deresponsabilizzazione dal mondo dei genitori: scarpe intelligenti con microchip che segnalano ai genitori dove è finito il pargoletto; seggiolini per auto intelligenti che segnalano se ve lo siete scordati; giocattoli intelligenti che invece di esser fatti per essere smontati e rotti come tutti i giochi da Socrate in poi, non solo non si devono sgualcire (sono costosi!) ma invece di essere “smontati e studiati” devono insegnare a studiare, a parlare, e giocare coi pupi al posto dei genitori; tecnologia buona in apparenza, ma l’apparenza inganna, infatti fa abbassare la guardia. Non sarebbe meglio cercare e creare un mondo in cui il genitore stia davvero e giochi davvero coi bambini, e un mondo meno stressante, un mondo infine in cui non ti insegnino fin dalle elementari che un figlio è un intralcio e qualcosa che comunque non ti deve cambiare la vita?

La diffusione dei tablet tra i bambini rivela un dramma culturale e sociale: quello di un mondo in cui i bambini sono estranei, non previsti, al massimo programmati a tavolino e che non devono intralciare i piani degli adulti che per non avere scocciature li connettono al web.

Un’ultima osservazione collaterale ma importante. Recentemente è stata descritta un’importante patologia per la salute dei bambini: si chiama “Sudden Unexpected Postnatal Collapse” (“Collasso improvviso postnatale inaspettato”), che qui non descriveremo, ma che tra i fattori di rischio più riconosciuti vede l’uso intensivo del cellulare da parte delle mamme durante l’attaccamento del figlio al seno, che non permetterebbe loro di controllare i primi segni di crisi. Se anche i genitori si trasformano in schiavi del cellulare, come pensare che non lo faranno i figli?