«Un figlio disabile non è un fallimento genetico ma una possibilità di amare ancora di più»: la storia di un padre, single, omosessuale che adotta una bimba down che in precedenza pare fosse già stata rifiutata da sette famiglie diverse. Lo ha raccontato oggi lo stesso Luca Trapanese in anteprima al Corriere della Sera dopo aver presentato il libro scritto a quattro mano con Luca Mercante, “Nata per me”: una storia stranissima, controversa ma col “lieto fine” meno banale di quanto possa sembrare. «Non avevo nessuna paura di adottare un bambino disabile. (…) Da quando avevo 14 anni faccio volontariato e lavoro con disabili e quindi ritenevo di avere gli strumenti adatti per farlo. Dopo la separazione con il mio compagno, è stata l’opzione che per me ha prevalso. Così ho fatto richiesta nel registro speciale che consente ai single di adottare in condizioni particolari», spiega il papà single che oggi si occupa della sua Alba a tempo pieno, nel mentre gestisce le tre associazioni da lui nate in questi anni.
“UN FIGLIO DISABILE NON È UNA OPPORTUNITÀ DI SERIE B”
“Il borgo sociale” a Marzano Appio per aiutare i disabili nel mondo del lavoro; “La casa di Matteo” struttura per bimbi disabili in stato di affido e adozione; “A ruota libera” è invece l’associazione che si occupa peculiarmente dei ragazzi down: sono queste le tre realtà fondate da papà Luca e che hanno fatto maturare in lui in tutti questi anni la convinzione che «Un figlio disabile non è una opportunità di serie b, ma una scelta consapevole rispetto alla mia vocazione e alle mie capacità». Come racconta ai colleghi del CorSera, la vocazione è nata proprio durante l’adozione della piccola Alba: due vocazioni cresciute assieme in una realtà tanto complessa quanto interessante. Come quando raconta di avere una “nuova” mamma: «Qualche tempo fa sono stato legalmente adottato da una signora che ha un figlio disabile, che ora è mio fratello. Lei ci teneva che me ne occupassi io quando sarà solo e quindi ho due mamme. Però è con me che Alba mostra l’attaccamento maggiore, sa che sono io la sua famiglia». C’è chi insulta i down e chi invece ha per loro la speranza più bella e concreta di tutte: la normalità, al netto della malattia e dei drammi che capiteranno nella sua esistenza: del resto, come tutti noi.